domenica 30 gennaio 2011

Bere Champagne per ignoranza e per risparmiare.

- del Guardiano del Faro -

E anche perché piace, perché piace più o meno a tutte e a tutti il vino passe-partout per eccellenza. Ma questo dato di fatto è stato anche il motivo principale di ritardo all’approccio a veri vini, non perché lo Champagne sia un vino fasullo, ma quelli veramente eccellenti, quelli che li berresti volentieri anche se non avessero le bollicine non sono moltissimi. L’effetto petillant fa spesso la differenza, fresco e apparentemente dissetante stimola il buon umore e diffonde una festosa atmosfera nel momento in cui salta il tappo.

Ma da qualche parte bisognava pur cominciare per capire come stavano realmente le cose, e quando qualcuno mi domanda come si costruisce un esperienza in questo settore sono in imbarazzo . Da dove cominciare ? Normalmente le ragazze non amano il vino, però se iniziate con qualche bicchierino di passito, di sauternes, di moscato o di pedro ximenez poi possono gradatamente passare anche ad altro . Per i ragazzi, già rovinati da birre a 4 gradi e liquorini da bar il passaggio alle bollicine è quello più naturale, piacevole e facilmente comprensibile. Lo Champagne quindi, il vino a prova di imbecille.

E così fu la prima volta che mi ritrovai tutto solo in un ristorante parigino due stelle Michelin alle prese con un volume alto quattro dita dove le voci relative a tutte le zone vinicole francesi potevano anche raccogliere un migliaio di referenze e io forse non arrivavo a conoscere più dieci etichette a 23 anni. Perché proprio quel ristorante? Per ignoranza, ma anche per fortuna , perché se ti trovi da solo una sera a Parigi e decidi di concederti la tua prima grande tavola nella capitale apri la bibbia rossa alle 18, prima di entrare nella doccia, aspettandoti che siano tutti li ad aspettare te. Quindi si cominciò come farebbero tutti, telefonando ai tre stelle . I tre stelle parigini nel 1984 erano questi : Jamin Robuchon, L’Archestrate Senderens, Taillevent Vrinat, Vivarois Pacaud e la Tour D’Argent . Si, mi pare fossero solo cinque se la memoria non mi inganna. Dunque, avendo chiamato tutti e avendo preso un bel pokerissimo di due di picche cominciai a rivolgermi ai due stelle. Anche in quella fascia non fu semplice, l’angoscia saliva, finchè dal Relais Louis XIII mi dissero, oui ! Due stelle all’epoca, e due stelle ancora oggi, dopo che Manuel Martinez fece il suo aller et retour proprio dal timone de la Tour d’Argent , tornando in quel classico cadre arricchito da quadri di Rembrandt e cognac pre-napoleonici in Rue des Grands Augustins.


Poco abituato allo Champagne, perché in Italia era ancora inteso come vino da night club o da casinò, e quindi anche venduto al tavolo dei ristoranti “normali” ai medesimi prezzi previsti per una bevuta compresa di compagnia con gonna corta e tacco alto, e i marchi erano anche sempre i soliti : Veuve, Moet, Mumm, Pommery, Taittinger e poco altro. La sorpresa fu invece forte vedendo un intera pagina dedicata alle bollicine di Marna e dintorni , i cui prezzi per le cuvée meno costose erano anche i prezzi più bassi in assoluto. Inavvicinabili i grandi chateau bordolesi e i grand cru di Borgogna, la Champagne rimase per qualche tempo il rifugio rassicurante di ogni carta di vini francese. Il passo successivo fu l’approccio ai vini di moda, cioè quelli provenienti dai terroir di Chablis per il bianco e i secondi e terzi cru di Bordeaux per i rossi, la cui qualità era sorprendentemente (ahimè) già omogenea. Cercare perle in altre zone era impresa notevole, e il rischio ciofeca era sempre in agguato, pagato anche a caro prezzo. La zona più pericolosa in questo senso era proprio la Borgogna en rouge, in terrificante difficoltà produttiva negli anni 70/80, i cui prezzi erano spesso inspiegabili per un giovane palato per nulla pronto e quindi anche poco propenso verso i nativi nebbioli, ostici e durissimi prima dell’avvento dei golden boy della Langa.

Era assolutamente necessario trovare dei buoni maestri di tavola e di cantina per non perdere troppo tempo o troppo denaro. Me lo ribadisce ancora oggi il mio caro avvocato : se non sei ricco, o se non hai amici ricchi, non capirai mai un cz di vino! Ma scoprii a suo tempo che c’era una terza via, lavorare nei ristoranti. La seconda difficoltà oggettiva è la sorprendente rarità di persone che sappiano cambiare marcia sui due piani relativi a vino e cucina. Perché mangiare mangiamo tutti da sempre, e quindi si tratta solo di affinare giorno per giorno il gusto e il palato, con il tempo imparano quasi tutti, eccetto alcuni palati foderati di eternit . Il mondo degli appassionati di vino vive in una dimensione parallela, ce ne accorgiamo tutti i giorni anche noi che bazzichiamo sul web da una decina di anni : i luoghi di scambio di pareri sui due argomenti sono frequentati da persone molto diverse e credo che non più del 5% si muova giornalmente e in parallelo sui due fronti. Dunque per qualcuno il Richebourg con una fetta di salame e per altri una pernice tartufata col Rosso Conero. Raramente il Richebourg incontra la pernice.

Senza web era ancora più complicato e il primo corso sommelier per me fu anche l’ultimo, perché a quel punto tutti i difetti dei vini li avevo ben chiari in mente, era arrivato il momento di bere roba buona dopo quello scioccante periodo. Che dire, i buoni maestri non mancarono, una mezza dozzina di fenomeni che la sapevano lunga sui terreni di Francia e misero felicemente fine alla dipendenza dallo Champagne, il vino ignorante . Il colpo finale è tutto nell’affermazione che ogni tanto vado ripetendo in preda a sprazzi di arteriosclerosi, il solito, quello riferito alla confidenza che Madame Leroy mi fece de la bouche a l’oreille seduti ad un tavolo dell’Ambasciata di Quistello : Mais pourquoi mettre des bulles dans le bon vin?





- gdf -


sabato 29 gennaio 2011

I tre giorni della passera


Urra'! La news del giorno è che una nuova doc è sbarcata in Liguria,tenetevi forti signore
e signori: la doc Portofino.In fondo si tratta della vecchia doc depressa ,e deprimente,
Golfo del Tigullio con in aggiunta la sottozona Portofino. Vuoi mettere come fara' fico
bersi un Portofino. E non solo piu' bianco o rosso ma anche passito e spumante da ora!
Nei giorni della merla, le passere danarose coperte di visone che avvicinano un calice
di bollicine gran cru Zoagli alle narici collassate dalla neve. Visione celestiale.


Da passera a passerina il passo e' breve. Vitigno della grande famiglia dei trebbiani, coltivato in centro Italia, che dona vini piuttosto neutri, nervosi e rigidi nella versione secca e molto piu' interessanti in quella passita. Nel mai troppo lodato Piceno si trovano le bottiglie piu' sfiziose in ambo le versioni. La vera chicca e' il vin santo di tradizione contadina prodotto da Le Caniette da lieviti madre centenari. Una serie di belle etichette riproducenti le 12 sibille affrescate nel 500' nella chiesetta della madonna dell'Ambro. La leggenda narra che qui si rifugio' l'ultima sibilla, bandita dall'impero ormai cristianizzato. Da qui il nome alle montagne circostanti: la splendida oasi naturalistica dei Sibillini sul confine umbro, Norcia e' appena li' sotto,e a pochi km dal Lazio e dall'Abruzzo. Non vi dico che scorpacciata di salumi mi feci in un pomeriggio da quelle parti.


I sinonimi della passerina fanno ovviamente pensare ad un uva da grandi rese,come molte altre figlie della grande famiglia dei trebbiani: Cacciadebiti, Caccione, Passerina bastarda, Uva passera.

Se capitate nella Marca sporca dove man mano che scendete le olive si fanno piu' grandi, le porzioni piu' generose e la gente sempre piu' ospitale, non mancate di fare un salto al'enoteca regionale di Offida (AP) dove si possono trovare una serie di vini ottimi sotto i 10 euro, in particolare da uve pecorino, bianco dal profilo nordico e strutturato che prendera' sempre piu' piede, e montepulciano sanguigni e carnosi.




venerdì 28 gennaio 2011

Les Grandes Tables de Suisse : il Lago Lemano .

- del Guardiano del Faro -

Quella sera di inizio settembre il telefono di casa squillò verso le 19. Era un amico ticinese frequentatore storico di tutte le grandi tavole svizzere che con il regolare accento ticinese milanesizzato a scatti, un po’ Rezzonico e un po’ Bernasconi, mi annunciò che finalmente aveva riottenuto il diritto a sedere ad un tavolo da Fredy Girardet e me ne voleva gentilmente girare la prenotazione affinché mi potessi rendere conto del perché era così difficile mettere un piede dentro a quel ristorante di Crissier, così come da Jamin gerenza Robuchon. La prenotazione era fissata per un martedì sera di metà dicembre. Solo quattro mesi mi disse : è una buona opzione Roberto, non perderla, me racumandi , fa no al ciula!

I luoghi comuni negativi sulla ristorazione svizzera sono i più blasfemi d’Europa, perché se c’è una nazione in Europa che ha mantenuto e sostenuto i massimi standard di ospitalità sui diversi livelli possibili è proprio questa. Istruzione, storia, cultura, etica, professionalità. L’unica critica oggettivamente accettabile è la carenza di grandi giacimenti di ricette e di piatti storici indimenticabili, ma del resto i condizionamenti esterni verso questa nazione sono sempre stati tali da renderla multi-etnica e pacificamente succube delle diverse lingue, culture estere o internamente espresse.

Oggi la Svizzera, secondo la statistica delle forchette e delle stelle è la nazione al mondo ad avere la maggioranza di locali stellati in proporzione alla popolazione residente, ciò nonostante la severità di giudizio Michelin applicato a nord e a sud del Gottardo, che se fosse riapplicato a sud di Chiasso o a ovest di Ginevra vedrebbe una moria di stelle cadenti che ricoprirebbe ettari di terreno incolto.

Sostanzialmente il condizionamento che ha influito positivamente per la nascita di una così grande qualità diffusasi anche in discreta quantità si deve allo storico rigore delle scuole alberghiere di questo paese, almeno dal punto di vista gestionale e del servizio, ma dal punto di vista gastronomico le positive interferenze delle cucine di radice francese, italiana e tedesca hanno pesantemente contribuito a creare una rete di grandes tables di medio o alto livello tout court, anche se oggettivamente spesso prive di una personalità e di una specificità o di un radicamento alle tradizioni di campanile.

Il grande sviluppo e la fama internazionale si deve proprio alla zona da cui il faro Girardet cominciò a illuminare tutto il Lago Lemano, dal Municipio di Crissier, presso Losanna, località giustamente onorata anche da una uscita autostradale, come a Vonnas, anche se proprio non indispensabile, ma meglio così, meglio arrivarci con una freccia benevola, confidenziale, utile più ai gaudenti che agli utenti.

Quindi non solo Girardet da quelle parti, personaggio che meriterebbe dieci articoli in sequenza, che meriterebbe una citazione continua di aneddoti e particolarità uniche, come quando si disse che fece mangiare Nixon e Kissinger in cucina perché ovviamente era la completo, o quando svegliava di notte il suo successore, Philippe Rochat, perché aveva finalmente intuito come far restare rigida e croccante una ventresca di tonno dentro quello strumento a piastre ondulate dove oggi nei bar ci bruciano i toast, o semplicemente essendo così snob da poter vantare il ruolo di uno dei ristoranti più esclusivi del mondo senza apparire sulla Guida Michelin, che fino a metà degli anni ’90 si fermava a Ginevra.

Oltre a lui, grazie al suo degnissimo scudiero Philippe Rochat ( ma non può essere la stessa cosa ) e ora al giovane lanciato al Bocuse d’ Or 2011, Franck Giovannini classe 1974, la successione sul placido Lago Lemano sembra procedere bene, così come dal suo storico vicino/rivale tristellato Gerard Rabaey de Le Pont de Brent. Oggi declassato per il medesimo motivo di cambio di comandante, rimane il locale che più di tutti mi ha segnato la memoria da quelle parti, perché il mio feeling con cuochi bretoni o normanni rimane saldo quanto inspiegabile.

Ma prima dei due fenomeni di Crissier e Brent bisognerebbe anche ricordare il successo di Ravet. Il fascino di un viaggio fino a Echallens, perchè ancor prima che discendesse a Vufflens le Chateau, la classe classicissima di Bernard Ravet ha sempre attirato fiumi di clienti con il semplice sistema di comunicazione primaria : dalla bocca all'orecchio. La consacrazione parziale nel bellissimo relais prossimo al lago , la magnifica cantina, le deliziose camere, le colazioni indimenticabili e il congedo con piccola offerta dei vini della proprietà sono cose che vanno oltre ogni buona maniera conforme alle attese di un Relais Chateaux e 2 stelle, ora severamente declassato ad una.

Personaggio più particolare e fuori dalle concezioni classiche di quei luoghi è lo stravagante napoletano Carlo Crisci, sempre alle prese con i suoi look originali arricchiti da scioccanti occhiali dalle montature più sconcertanti che ne hanno fatto un tratto caratterizzante del personaggio. Non diversa la sua cucina già fuori dagli schemi da subito, essenziale ed estetica, premiante da oltre 15 anni : ci sono un un paio di stelline napoletane in quel di Cossonay, a Le Cerf.

Emozioni ancora molto, ma molto più estreme quelle che si potrebbero vivere sulla tavola più famosa di Vevey. Vevey, la città della Nestlè . A due passi dal museo alimentare della multinazionale del food, sotto i vecchi portici del centro c'è il locale di Denis Martin, chef super innovativo e tecnologico quanto il laboratorio sperimentale Nestlè. Menù psichedelici a disposizione di chi sia stufo di mangiare il classico e il contemporaneo. Altre due stelle a creare una concentrazione di stelline più affollata della Via Lattea.

Ci fossero problemi a prenotare da questi fenomeni guarda un po’ chi arriva da Valence ? Niente meno che la piccola grande cheffina trois etoiles trois generations, Anne Sophie Pic, qui sul lungo lago di Ouchy al Beau Rivage, per ora a quota due ma non metterei limiti alla provvidenza e non vedo limiti al caratterino convinto della ragazza.

Su Ginevra le cose sono andate a volte come le gestioni di certe banche di quella città, non proprio sempre limpidamente e placidamente quanto il corso del Rodano: qualche getto improvviso e ricaduta verticale . Una grande continuità la mantenne invece l’ottimo Le Béarn di Jean Paul Goddard ma tutto intorno è sempre stato un ricambio dentro e fuori dai grandi alberghi o in località periferiche, le prime alimentate dalla ricca clientela d’affari, le seconde dove in effetti il fascino poteva supportare meglio qualche abbassamento di qualità meno tangibile se compensato dalla bellezza del panorama o dalla natura circostante. Fuori gamma la bellezza e la costante e discreta qualità dell’Auberge du Lion d’Or a Cologny del duo Byrne-Dupont, tuttora monostellato e dove credo di aver mangiato una delle migliori cucine fusion d’Europa.

Diverso il discorso per il sommo Domaine de Chateauvieux di Philippe Chevrier, in lieve collina fuori dalla città, tra vigneti senza pretese e grande cucina, solida come i vecchi muri che la contengono, cucina anche a vista e sala classica. Grande Tavola 2 stelle, anche questa.

Ritornerei invece a parlare di Montreux per chiudere, perché L’Ermitage di Etienne Krebs è un altro luogo del cuore, non il migliore, non il più bello, non il più indimenticabile, ma quella villetta lungo lago , a Clarens , continua ad avere il suo perché.

Diverso ancora il discorso allargandoci ad un territorio poco più lontano, perché gli spunti montanari non mancherebbero ma la tirerei troppo alla lunga, però un eccezione geografica per quel simpatico valdostano-guascone di Roland Pierroz la voglio fare : presidente Relais Chateaux Svizzera e 19/20mi Gault Millau non andò mai oltre la prima stella Michelin nel suo bellissimo chalet di montagna a Verbier, il 19 forse no, ma grande trasgressivo con cognizione si .

Dall’altra parte del lago c’è la Francia, c’è Evian, c’è Thonon Les Bains, ma in questo sport l’hanno vista poco la palla i francesi, forse un paio di discreti esecutori e anche un pochino sopravvalutati, magari dentro la bellezza scandalosa del Casinò di Evian, anche vittime dei giocatori, che a dargli in mano la carta del ristorante o l’elenco del telefono era la stessa cosa, la testa era già di nuovo sul tavolo verde, ma non cerchiamo scuse, consideriamo pure gli oriundi, ma in questo caso la partita si chiude Svizzera - Francia : 6-1 / 6-1 / 6-0 .




Gerard Rabaey, Fredy Girardet, Roland Pierroz.


Philippe Rochat


Carlo Crisci


Bernard Ravet


Etienne Krebs



Denis Martin

restiamo sul lago Lemano:









gdf

giovedì 27 gennaio 2011

Basta! Mollo tutto e vado ad allevare i lama.

- gdf 2011 -

E così l’avvocato e l’assicuratore decisero di rovesciare la scrivania piena di scartoffie e ritirarsi in montagna in compagnia degli sputanti e lanosi ruminanti . Ma non per raggiunta età pensionabile, bensì a meta del cammin di nostra vita, per cambio di marcia e di stile di vita, da riprendere in modalità punto e a capo. Tutto ciò facendo sicuramente più strada mentale che carrozzabile: uno risalendo da Marsiglia e l’altro da Antibes. La fattoria degli animali è collocata nelle Alpi Marittime, alle porte del Parco Mercantour e della Valle delle Meraviglie, non lontano dal Colle di Tenda, non lontanissimo dal lungo mare di Nizza, ma abbastanza lontano da tutto. Oltre ai lama, che pare si trovino bene anche sotto i 4000 metri andini accontentandosi qui dell’arietta fresca di quota 1500, qui ci sono anche altri animali dediti alla zooterapia : tre gatti, il cane Flunch, pappagalli e pony . Volendo fare un passo indietro nel tempo, da queste parti ci si può dedicare anche alla tessitura della lana dei lama, raccogliere verdura biologica, oppure accontentarsi di partire dal campo base e salire alla scoperta della bellissima Valle delle Meraviglie . Campo base che però invita a rimanere a lungo, così accogliente, caldo e spazioso, perché i due ideatori del progetto, Christian Gay e Philippe Michel, oltre alla fattoria degli animali gestiscono anche un delizioso Meublè con cucina biologica giusto a due passi dal Col de Turini, a 65 chilometri da Nizza. Qui, oltre alle accoglienti camere c’è uno spazio comune caldo e ospitale dove ascoltare musica celtica e occitana masticando una buona tarte au poire con tè di varie origini. All’ora di pranzo o di cena può capitare di incontrare una zuppa di legumi biologici e una cassolette de canard da non sottovalutare. Dommage che i ragazzi non abbiamo la licenza per la somministrazione di vini e alcolici, per questa volta ci accontenteremo di una fresca birretta, anche con una decina di gradi sotto zero, salvo supplicare il buon Philippe, di ritorno dalla Martinica, di versarci una buona dose di Rum nel caffè prima di incamminarci verso i pendii innevati.


Lo chalet con l'allevamento dei lama e l'orto biologico.

Qui in versione autunno inverno.


Il Meublé Logis de la Source, con piccola cucina biò.


Dalla cucina del Meublè, terrazza e vista sulle Alpi Marittime.


Scelte musicali: o di radice Celtica oppure Occitana.


Il servizio da té scelto da Philippe Michel e Christian Gay per il loro nido.


Il caldo e accogliente salone a due livelli, interni in legno chiaro e caminetto. sempre acceso.

ci abbino Mo Ghile Mear delle Celtic Woman di cui ricordo anche una splendida versione dei Chieftains con Sting, scelgo pero' questa per dimostrare che a volte anche le Irlandesi non sono male.. ;-))
Lucien


Christian Gay con i suoi lama.

Tél. : 06 72 81 03 35



- gdf 2011 -






mercoledì 26 gennaio 2011

Il Karma del Pollo

- gdf 2011 -

Del Karma del pollo non gliene frega niente a nessuno. La parte non materiale delle azioni e la causa del destino degli esseri viventi. Non c’è un animale così maltrattato e privato di identità e di anima come il pollo. L’industria non vi dico come lo tratta perché se dovete andare a pranzo non ce la potreste fare ad arrivare neanche all’antipasto, i vegetariani, se proprio devono fare uno sgarro alla propria filosofia di vita si accaniranno proprio sul pollo, quelli che non mangiano la carne rossa e il medico gli dice che sono un pochino anemici si rifugeranno anche loro dal bipede pennuto più oltraggiato dell’universo. Quelli che va bene anche una pizza a cena ma passando davanti al rullo di spiedi che emanano il tipico odore di pollo arrosto risparmieranno anche la pizza, sempre a spese del pollo. Giustiziato sommariamente da tutte le cucine etniche del mondo nei modi più crudeli. Non c’è organizzazione mondiale che lo salvi o lo preservi, del karma del pollo non gliene frega niente nessuno. I più schifiltosi riescono anche a sedersi da Chapel e dire, si prendo il pollo ma mangio solo il petto, la cosce non mi piacciono, ma non c’è distinguo tra il karma della coscia e del petto del pollo. Arrosto, ripieno, fritto, panato,allo spiedo, alla griglia, in crocchette, bollito, fino a ridurlo anche allo stato fossile tramite vulcanizzazione, come possiamo vedere nel contributo di immagine prelevata abusivamente dal blog di VG J




...have some more chicken

martedì 25 gennaio 2011

Troisgros, una storia di alta gastronomia francese.

- del Guardiano del Faro -

La leggenda in questo caso ha tutte le connotazioni per riflettersi perfettamente nella realtà e si potrebbe aprire con l’immagine di Pierre Troisgros che in una tiepida mattinata della primavera 1968, mentre l’Europa intellettuale è in pieno fermento, si reca alla vicina edicola per acquistare il giornale. In edicola quel giorno è arrivata anche l’edizione della Guida Michelin, Pierre, in automatico infila il pollice qualche millimetro dopo l’ipotetica posizione delle molte pagine dedicate alla capitale. Finalmente la pagina di Roanne si schiude e Pierre, davanti alla curiosità della signora che gestisce l’edicola mormora , è una catastrofe… tutto bene monsieur Troisgros ? domanda la signora, si, o anche no, non va bene, non siamo pronti, non è possibile paragonarci a La Tour d’Argent, a Maxim’s , addirittura impensabile valere quanto La Pyramide. Ma non ci sono errori, Troisgros quell’anno raggiunse la terza stella Michelin, qualche settimana prima che gli eventi storici immobilizzassero la Francia, svuotando i ristoranti di lusso. Quella terza stella che detiene ancora oggi, e non ci sono motivi di dubitare che la Maison di Roanne il prossimo marzo potrà festeggiare il 43mo anniversario del massimo riconoscimento, addirittura il 56mo dall’attribuzione della prima.

La storia poi narra della presa di coscienza tra Pierre e Jean Baptiste Troisgros: noi siamo quelli che siamo e dobbiamo continuare ad esserlo, se ci hanno premiato è per quello che siamo e non per quello che vorrebbero fossimo. Bando alle tristezze e alle preoccupazioni, incredibile quanto un successo possa mettere a disagio, ma questo è l’atteggiamento dei saggi, di chi non si sente arrivato ma sul punto di partenza. In cucina si stappa Champagne, i ragazzi della brigata alzano le coppe, tra di loro un apprendista diciassettenne che si interroga mentalmente se questa soddisfazione un giorno potrà toccare anche a lui; si anche lui ci arriverà, anche Bernard Loiseau raggiungerà il traguardo.

La storia della famiglia Troisgros relativa alla ristorazione comincia nel 1930, non a Roanne ma giù a Chalon sur Saone, dove papà e mamma dei due bimbi gestiscono il Café des Négociants . I genitori hanno però in mente qualche cosa di meglio per il futuro dei bambini, è la classica storia generazionale francese applicata alla conservazione delle tradizioni e dello sviluppo delle idee, che non vede il limite nello spazio e nel tempo. A Roanne dunque, dove è in vendita l’Hotel des Platanes, che diviene in breve l’Hotel Moderne, perché addirittura modernizzato al punto di avere acqua calda a tutti i piani ! La cucina estremamente tradizionale, ovviamente tradizionale, la posso immaginare come quella di oggi in alcuni localini di Borgogna dove cominciare il pranzo con jambon persillé, omelette, piedino di vitello in vinaigrette. Hopps, avez vous dit vinaigrette? Oui, vinaigrette, il marchio di fabbrica è già stampato. Pierre racconterà in seguito che a casa loro la mamma non doveva mettere via il barattolo di marmellata ma nascondere ai due figli i sottaceti per evitarne l’abuso.

Altra situazione che oggi sembra ovvia allora non lo era per nulla, perchè è vero che l’abitudine di servire i vini rossi a temperatura d’ambiente era la regola base di tutta la ristorazione d’Europa .Papà Jean Baptiste si accorse invece che Beaujolais e Bourgogne rouge , da giovani erano molto meglio, più gradevoli se serviti a temperatura di cantina ; un altro tassello piazzato al punto giusto. Ma è tempo di guardarsi anche attorno per capire come va il mondo dell’alta gastronomia francese per confortare le legittime ambizioni dei ragazzi, che così partirono alla volta di Parigi e di Vienne. Crillon, Pyramide, Lucas Carton, Maxim’s : percorso netto, ormai il futuro è nelle loro mani, i maestri hanno fatto il loro, adesso è il momento di allungare il passo per i ragazzi di Roanne e nel 1953 l’insegna Maison Troisgros è una realtà.

Roanne diventa progressivamente una tappa quasi obbligata da inserire nel grand tour gastronomico di ogni appassionato. La comunicazione è limitata alle guide; Michelin e Relais Chateaux fanno il loro per far conoscere le eccellenze dell’epoca e i pellegrinaggi verso la Maison Troisgros non cesseranno mai, un saumon a l’oseille vale già il viaggio.

Località defilata e bruttina, ma con questa allure di tranquillità che consente ai Troisgros di lavorare serenamente, lontano dai clamori di Lyon o Parigi, assorbendo con circospezione ogni corrente, ogni evoluzione del gusto e delle tecniche senza svilire mai uno stile che fa della leggerezza, della finezza, della concentrazione e della magistrale gestione delle acidità la sua peculiarità primaria. Tutte quelle piccole attenzioni discrete che ancora oggi Michel Troisgros non ha dimenticato di applicare alle sue creazioni.

I lutti recitano la parte principale nelle rappresentazioni dove queste saghe famigliari vanno in scena, dunque nel 1973 Jean Baptiste muore in uno dei due migliori posti dove farlo, a tavola, mentre è più originale l’uscita di scena di Jean, su un campo da tennis. Con naturalezza Michel sale al timone del bastimento dopo esperienze di vario genere, Michel Guerard, Alain Chapel, Roger Vergé , e modernizza progressivamente uno stile che fa dell’essenzialità e della pulizia dei sapori l’aspetto primario. Apparentemente, perché poi da un lato ci sono le proverbiali acidità a rialzare il tono di ogni piatto, dall’altra il non rinunciare a grassezze e morbidezze dove necessario, o dove non dimenticare da dove veniamo e che cosa ci aspettiamo da una cucina profondamente cucinata e quasi mai solo assemblata, dove non mancherà anche un tocco d'oriente, come nello sguardo di Michel.

Tre è il numero delle mie presenze negli ultimi quattro anni, tutte molto positive, confortate dalla concretezza, dalla finezza, dal sapiente uso delle tecniche senza innamorarsene, solo come strumento per raggiungere l’obiettivo. Esperienze piacevolissime anche perché addolcite dall’atteggiamento umile e cosciente di questo petit grand chef, uno che ha deciso che il suo pubblico va salutato prima e dopo lo spettacolo, uno che passa lo straccio sulla stufa per non scordare a nessuno che di li si parte, e che, ed è un’informazione non più riservata, dicevo, uno che riempie i frigoriferi del fresco in prima mattinata e alla sera si può permettere di lasciarne aperti gli sportelli, liberi di non dover contenere più nulla fino al giorno dopo.

Già nel 1968 un giovane Christian Millau strillò sull’altrettanto giovane rivista Gault-Millau : ho scoperto il miglior ristorante del mondo. Io mi accontenterei di ritenere, dopo quasi 30anni di frequentazioni top europe, che questo sia il miglior ristorante d’Europa, non tanto per le punte di eccellenza quanto per l’eccezionale continuità. Ho fatto in questi ultimi tre anni pranzi o cene migliori dai Roca, da Trama, dai Marcon, , da Blanc e soprattutto dal più devastante di tutti , il sommo Arnsbourg, però Troisgros arriva in un modo meno potente, meno esageratamente buono, più sotterraneo, più cerebro-palatale, in una fusione pressoché perfetta di sensazione di benessere totale, e quindi fa quasi notizia quando una salsa all’aglio sa palesemente di muffa, quasi a ricordare che la perfezione non esiste, ma ci si può andare molto vicino.




gdf

lunedì 24 gennaio 2011

Piuttosto di ogni mignottocrazia, top model e racchetta.

- gdf 2011 -


Gli italiani preferiscono le bionde ma sposano le more, ma chi l’ha detto…

L'ordine non è troppo casuale. I nomi neppure necessari, credo, salvo un doveroso omaggio finale ad Anna Kournikova, però mettiamoli, così ci ricordiamo chi è al servizio e chi subisce pesantemente alla risposta.

Ana Ivanovic


Maria Kirilenko


Daniela Hantuchova


Maria Sharapova

... Bondarenko

Gisela Dulko

Caroline Wozniacky

Sorana Cirstea

Stephanie Dubois

Elena Dementieva




- gdf al potassio -

Conosco un posticino dove per 30 euro…

- gdf 2011 -

Un posticino dove per la moderata cifra di 32 euro si possono avere in cambio diversi classici della cucina francese cucinati diligentemente, classicamente, grassamente . Non so le altre guide ma la Michelin ne tace l’esistenza, marcando a fuoco lo stabilimento giusto a fianco con il dignitoso bib gourmand, però chiuso per fermeture annuelle. Mezzora dal mare, risalendo da Menton o prendendo l’uscita autostradale che porta il medesimo nome, per poi risalire in direzione Sospel . Di mezzo il grazioso villaggio d’artisti che fa di nome Castillon, passato il quale ci si infila nel inquietante tunnel Napoleonico, stretto e lungo, che porta nella bellissima vallata che scende appunto nella graziosa Sospel . Oltre il ponte il Relais du Sel , due salette, quaranta coperti sobriamente apparecchiati, cucina espressa, profumo di zuppa di cipolle in elaborazione, sorriso gentile della bellissima signora olandese dal gradevole accento nordico mescolato all’inflessione provenzale, carta e menù di tradizione spietata e piccola scelta di vini dove imbattersi senza timore di farsi male. E il carta menù, cioè la possibilità di scegliere un piatto d’entrata, un piatto principale, assortimento di formaggi fermier e dessert per 32 euro ttc. Le immagini, come d’abitudine, sono ampiamente allargabili.

Escargot...


Scaloppa di foie gras alle mele...

Terrina di selvaggina alle nocciole...


Rognone trifolato ai grani di senape...

Filetto di manzo con funghi selvaggi à la creme fraiche

... e un corroborante CheeseCake

Relais du Sel
3, Avenue de Verdun
Sospel ( Alpi Marittime )
Tel : + 33 (0) 4 93 04 00 43




gdf