sabato 30 aprile 2011

Snooker, campionati del mondo


Rimanendo in quota British per questo Royal week end, volevo ricordare che tra oggi è domani ci saranno le semifinali e la finale di Campionato del Mondo di Snooker a Sheffield, questa è l'arbitro dell'incontro finito poco fa in diretta su Eurosport, una che si fa rispettare con classe ed eleganza, Michaela Tabb.


venerdì 29 aprile 2011

The Royal Wedding

Wallace & Gromit

Stilton Cheese & LBV Port

Cheddar & Crackers


Shaun the sheep & Bitzer


What else ?

Enrico Crippa Show. Seconda parte

- del Guardiano del Faro -


Riprendiamo con un andamento molto soft, tra le morbide trame di uno dei due migliori Pinot Meunier che conosco, questo di Jérome Prévost, il noto allievo di Anselme Selosse. L'altro si sa, ma è sempre meglio ricordarlo quanto si parla di cucina in un blog di vino e quando si parla di vino in un blog di cucina, insomma, l'altro è marcato Egly Ouriet. Ma il nostro brillante sommelier me ne cita un altro, un altro che qui ora non mi ricordo. Speriamo Mauro legga e mi informi su quale dovrà essere il mio prossimo passo verso la confidenziale cerchia di piccoli produttori che hanno nobilitato questo vitigno, il pinot del mugnaio, così raro da incontrare in percentuale assoluta e così ben riuscito come questo di Prévost.


Ma su questa ricca composizione vegetale il buon Prévost ci farebbe a cazzotti, e qui il sommelier di buon senso senza dire nulla arriverà con un bicchiere adeguato, scegliendolo dal suo collaudato repertorio dei migliori rapporti qualità prezzo. Qui ci sono foglie cotte in sottovuoto, dolci e amare, e comunque connotate prepotentemente dalla salsa di tuorlo d'uovo , salsa contrastata da punte di sapore distinte, ma che comunque non spostano di molto la sensazione untuosa del tuorlo e del sentore profondamente vegetale. Manca insomma un vino che possa chiudere il piatto giocato sul sapido-dolce-amaro , oltre a tutte le insidie che si porta dietro una composizione così particolare.



Ci vuole un bicchiere di questa roba qui, che non è esattamente la tipologia di vino che preferisco, anzi : bassa gradazione, residuo zuccherino, anidride solforosa, insomma, proprio non è il mio, ma con quel che c'era nel piatto ci voleva una cosa così. E poi un altro dettaglio che dovrebbero imparare molti sommelier ambiziosi : dopo un piatto con tuorlo d'uovo si cambia il bicchiere, come si fa qui. Non c'è niente da fare, tu puoi lacerarti le labbra nella fiandra ma non ce la farai mai a non contaminare il bicchiere. Il bicchiere va cambiato, operazione sicuramente più utile che cambiare sistematicamente il tovagliolo ad ogni passaggio in toilette.



Qui c'è la sublimazione di una "giardiniera" , consistenza delle verdure, tenore equilibrato di acidità e dolcezza naturale e forse aggiunta, e poi i raffinatissimi profumi espressi sia dalla parte vegetale che dall'altrettanto felice marinatura dello sgombro fresco. Ottimo.




Merluzzo, nasello, cabillaud, baccalà al contrario. Chiamatelo come volete , questo ingrediente è diventato il termine di paragone tra gli chef contemporanei e questa versione è estrema quanto a cottura, coerente quanto a stagionalità dei piselli freschi. Molto buono ma un po' al limite come consistenza "liquida" e peccato che la cipolla non sia più grintosa ma vada via delicata e dolce senza incidere con un minimo di contrasto.



Si, carne cruda battuta al coltello con fragole. E crema di latte. Cosa devo dire, rispetto l'idea e la cromaticità, l'armonia di colore e la raffinatezza della ricerca del frutto fresco e della sua naturale acidità, però non ce la faccio. Fiori ed erbe a spostare il tema , ma non in maniera incisiva. Così come polveri sparse da recuperare con difficoltà. Mauro si gioca però una buona carta e porta a casa l' 1-1 al 90 ° .



Così si, così ce la faccio a chiudere un piatto troppo "molle" di carattere, troppo sdolcinato. L' abbinamento sarà anche scolastico ma è perfetto. Il gamay giovane e fruttatissimo aggiunge il terzo apostrofo rosa su questa composizione così femminile. Il tre, il numero perfetto. Adesso il totale è giusto.


Questo è un esempio di come una cottura a bassa temperatura possa portare a risultati ottimi se la carne ha la giusta consistenza per "subirla". Questo vitello "tonnato" non ha bisogno di salsa, basta assaggiarlo così per rimanere interdetti da quanto è tenero e buono e quanto ricordi al palato un classico vitello tonnato, ma questo è anche caldo, aspetto che curiosamente migliora il risultato. Per avere il contrasto però ricordarsi di andare a cercare in giro per il piatto i piccoli capperi.


Io sono nato prima degli omogenizzati. Sarà forse per questo che non ho assimilato determinate consistenze e proprio non riesco a farmele piacere. Crippa non è l'unico che tratta a bassa temperatura il coniglio e quindi probabilmente è un problema mio, anche l'abbinamento con la dolcezza della barbabietola, per quanto coreografica, non mi risolve la questione.



Un riso all'acqua dalla consistenza impeccabile e dalla profumazione originale quanto territoriale, la china. Il risultato è discreto, servito anche in porzione adeguata per un assaggio di creatività.



E' proprio una "cacio e pepe" . Regolarmente in carta ad Alba . Una straordinaria cacio e pepe ben al dente, ben cremosa, ma non proprio prevedibile nei sentori. Provare per credere.


Non amo per nulla i primi piatti all'italiana, visti in maniera storica solo come riempi pancia, così monotoni e monocorde. Di fronte a questo ho avuto una visione di Gualtiero Marchesi che sorrideva beffardamente ma con affetto. Questa "carbonara" impropria, con densa e sapida crema di pastorizia, lardo fresco e asparagi, questa carbonara vale il viaggio, anche da Roma.



Coraggiosa ricerca di intensità all'interno di un pollaio, dovi i profumi non sono proprio sempre raffinatissimi, mettiamoci anche dei cereali , piccoli asparagi selvatici ed altri aiuti dal mondo vegetale per trovare un equilibrio saturante. Qui ci vuole un vino adeguato per non soccombere.


Ad esempio questo.



Anche la guancia è diventata ormai da anni un altro parametro tra chef. Questa va direttamente sul podio anche se vogliamo candidarla ad una maratona con cinquemila concorrenti che vogliano sfidarla. E non secondari gli accompagnamenti vegetali e fondo di cottura, tutto assolutamente sublime, anche senza l'ausilio della bassa temperatura così come intesa oggi. Mi dicono si tratti di cottura tradizionale, e allora due volte chapeau!

Il finale è come venir giù da La Morra in bicicletta, aria fresca, sole, colori, uno schiaffetto ai polpacci per rilassare il muscolo, ci sta anche la posizione stretching dove il rettilineo lo consente, così da arrivare in fondo con una bella faccia abbronzata . Nessuna stanchezza, anzi Franck, andiamoci a bere una Super a Piozzo.







Però prima della birra ci sta bene questo.






Ristorante Il Duomo
Enrico Crippa

Piazza Risorgimento, 4
Alba


- gdf -

giovedì 28 aprile 2011

Eataly Genova : assaggi e impressioni

- gdf 2011 -


A 48 ore dall'apertura siamo andati a fare quattro passi dentro il nuovo Eataly al Porto Vecchio di Genova. Come direbbe qualcuno, un mio vecchio referente alla Michelin per esempio : "attenzione a dar valutazioni affrettate ai nuovi locali, la scopa nuova scopa sempre bene". Mah, però spesso poi ci sentiamo rispondere il contrario quando le cose non sono abbastanza rodate per girare a pieno regime." No, attendere qualche mese per dare tempo alla macchina di girare a pieno regime senza intoppi." Comunque sia, qui le cose sono iniziate subito molto bene, approccio impeccabile e percorso netto. Dal comodo parcheggio, a pagamento, certo, e neppure molto economico, però almeno si trova con una certa facilità. Poi vogliamo parlare dell'accoglienza alla base degli ascensori dove due eleganti steward chiamano gli ascensori e vi indicano il piano, l'ultimo, la nostra destinazione. All'arrivo ci sarà un altro impiegato a spiegare la direzione da prendere per il tour attraverso il piccolo mondo eno-gastronomico di Eataly Genova . Dal giardino di frutta e verdura, al bancone per uno snack, ottimi gli affettati, accompagnati da birre artigianali o vino bio, anche triple AAA, attraverso l'infinita scelta di prodotti alimentari confezionati e vini di qui ed d'altrove. L'ampia zona dedicata alla pizzeria, il piccolo ristorante che si occupa agilmente di cucina declinata semplicemente su carne e pesce. Una zona che affianca la pizzeria dove è la pasta a diventare protagonista. La lunga fila di tavolini con vista sul mare, sul porto, sulla città al tramonto, dove consumare i piatti che escono dalla pizzeria, dalla "pasteria" o dal ristorante fast.
Uno spazio didattico, di cultura e apprendimento, informativo senza la pretesa di essere anche questo commerciale, anche se il fine ultimo è chiaramente fidelizzare l'utente ai prodotti regionali. In fondo al lungo padiglione rettangolare vetrato il ristorante più importante, con cucina a vista e carta che si snoda su piatti regionali, di terra e di mare. Non manca la possibilità di prendere un gelato prima di uscire, o di bere un caffè o un digestivo prima di passare alla cassa se ci si è fatti affascinare dal piccolo carrello da riempire di mille cose golose, ma anche di piccola attrezzatura da usare in cucina. Ora non so quanto la città gradirà e deciderà di cambiare abitudini, scendendo dal centro verso il porto per un pranzo veloce, per un aperitivo, per una cena veloce prima di far serata altrove, perché qui si chiude alle 22.00, lasciandoci un po' in mezzo al guado. Ma sicuramente la quota turistica sarà importante, quella si, mentre la città non so, dubito, ma il turista avrà un motivo in più per visitare quella zona della città. Un ultimo dettaglio relativo al personale prima di passare ad una piccola galleria di immagini colte al volo ieri pomeriggio, perché anche su questo tema devo dire di aver incontrato solo ragazzi molto giovani e sorridenti, disponibili al dialogo e alla spiegazione, tutti rigorosamente italiani, scelta non facile in questi tempi per la ristorazione, scelta del resto scontata se ti chiami Eataly ;-)
















- gdf -

mercoledì 27 aprile 2011

Enrico Crippa Show : prima parte, l’aperitivo.

- del Guardiano del Faro -

Si dice così : "dai che andiamo dentro a mangiare tre piattini alla carta e poi proseguiamo per cantine." No, non sarà possibile neanche stavolta . Un secondo dopo avere aperta la porta, anzi, facciamo due perché l’approccio non è stato impeccabile lungo le scale d’accesso, quindi spostiamo velocemente il contesto mentale a dopo aver visto la faccia vispa di Mauro Mattei sorridere da un orecchio all’altro, imitato immediatamente dallo chef uscito dalla cucina con una grinta ed una sicurezza che non ricordavo. Un paio di sorrisi così disarmanti e convinti ci hanno fatto sorgere il sospetto che il pranzo non si sarebbe risolto con due piatti e dessert.



Accidenti che abbronzatura chef ! E poi quella magrezza impietosa verso chi come me aveva fatto di quelle caratteristiche una bandiera, bandiera ammainata , ma guardando questo giovane uomo che non molla, che prende la bici e va su per le colline delle Langhe a raccogliere erbe e fiorellini nel suo orto, allora mi sono detto, datti una mossa!



Quella sala non mi è mai piaciuta, anche la carta dei vini gridava vendetta qualche anno fa e la cucina spingeva più di ora verso l’oriente. Insomma, quando i miei vecchi associati di Passione Gourmet mi presentarono un conto da 19 su 20 , ribadito più di una volta, presi atto ma non senza qualche ombra nella mente.



La sala è quella, non c’è niente da fare, evidentemente a Ceretto piace così, non ci possiamo fare niente contro quel rosa zuccheroso. Invece la carta dei vini è oggi ottima , sviluppata al meglio, in mano ad un bravissimo sommelier, ex collega come cantiniere ma di nuovo collega come blogger perché articolista su Intravino. Personaggio che come mi dicevano i ben informati, scrive bene e parla tanto; nessun problema, quando incontro qualcuno che ha tante cose da dire lo ascolto volentieri, almeno le prime volte.



Quelli che parlano molto sappiamo che corrono incoscientemente il rischio statistico di dire qualche minkiata in mezzo a tante cose interessanti, oppure rischiano di dilungarsi su argomenti che interessano solo a loro, o su quelli in cui desiderano specchiarsi all’infinito, narcisi tannici. Dopo questa esperienza mi sbilancerei in maniera positiva, perché questo sommelier sarà anche il più simpatico chiacchierone d’Italia ( ma ce ne sono un altro paio di colleghi che se la giocherebbero fino al 90° ), però se in quattro ore non ha detto a mio avviso una sola minkiata e soprattutto nessuna minkiata ha messo nei bicchieri, allora per me va bene. Nel senso che interpreta il ruolo come ho sempre fatto anch’io, entrando sul tavolo e non subendolo, naturalmente quando il cliente lascia intuire che la cosa è gradita, o quando le situazioni si dipanino a favore dello scambio continuo di idee ed informazioni utili ad entrambi le parti. Il sommelier consulente insomma. Il sommelier che va un pochino oltre lo stappo, il sommelier che osa.



Osare nel senso di far provare, incuriosire, spiegare, far sorgere dubbi, levare certezze precostituite, con delicatezza, senza forzare su temi surreali come mettere d’ufficio il Moscato sul bollito, qui addirittura più regionale che in Emilia come ipotetico abbinamento, ma per nostra buona sorte fuori dai concetti di Mauro. Certo, il nostro qui ha giocato un pochino sporco, probabilmente si è andato ad informare dettagliatamente sulla prenotazione, cosa che facevo anch’io a dire il vero, google fa miracoli, ti puoi preparare la parte se hai capito chi arriva, ma alla fine si tratta semplicemente di un “plus” da riservare gratuitamente al cliente, farlo sentire finalmente un nome e non il numero di un tavolo.



Una volta intuito che il sommelier parlava la mia, la nostra lingua, si poteva felicemente proseguire nel percorso parzialmente concordato con Enrico Crippa, un percorso che a quel punto sarebbe stato antipatico restringere unilateralmente ad Alba e dintorni, mi bastava a quel punto rimanere su una traccia regionale ma poi lasciare mano libera all’interprete, che con la sua finezza, leggerezza, amore per fiori e piante, convinto aggancio territoriale e qualche gradita vigliaccata ci ha messo insieme una performance degna di un Giro del Piemonte con profondi sconfinamenti.



I passaggi sono stati moltissimi, qui io e Franck-One abbiamo superato la soglia di snack e di piatti con cui El Quique d’Espana ci assediò implacabilmente per quattro ore avendo alla fine la meglio sui nostri apparati gastrointestinali. Qui invece ne siamo usciti diversamente esausti, anzi no, neanche esausti, almeno non fisicamente quanto a tratti mentalmente . Qui si potrebbe fare un qualche richiamo e cercare una qualche relatività , citare tanti nomi della novella cucina italiana alla ricerca di similitudini, cercando per forza dei termini di paragone, cercare la causa di un deja vue frutto di congressi progressisti che fanno si che certe tecniche e certe concezioni si ritrovino all’interno di un circuito di ristoranti contemporanei europei , codificati come un family feeling da ritrovare nell’ambito di determinate frequentazioni. E non serve andarci ai convegni, i mezzi di comunicazione dove approfondire temi e tendenze sarebbero già più che sufficienti se quello fosse lo scopo. Non si tratta di una stigmatizzazione, mi pare oggettivo, come aspettarsi una tipologia coerente di opere esposte in diversi musei di arte moderna.



Detto questo posso solo ribadire di aver apprezzato moltissimo la raffinatezza, la leggerezza, la saggia scelta di ingredienti, il senso estetico, la ridotta deriva giapponese ed infine la piena concretezza in quei piatti dove ci deve essere, senza compromessi, dove non puoi lasciare il cliente a pensare al significato concettuale di una composizione ma lo devi solo far godere platealmente. Dolcezze, sapidità, cremosità, concentrazioni, consistenze, toni amari, toni piccanti, toni aromatici, tutto, o quasi tutto.



Argomenti di pacato dialogo, ma non si tratta neppure di abbozzo di discussione, potrebbero essere nell’ordine : la presenza praticamente nulla delle acidità primarie ( salvo nella divina giardiniera) ; la presenza forse eccessiva di fiori, germogli ed erbette, molte caratterizzanti e altre solo decorative e comunque dispensate a piene mani ; la necessità di cuocere o meno alcune carni a bassa temperatura e il gusto estetico espresso in un paio di presentazioni dispersive ( “esplose”) che possono far perdere la percezione di alcuni ingredienti che rimangono si nitidi, ma anche scollegati tra loro.



In questa prima parte sono passate solo le foto dei piccoli accompagnamenti che ci hanno traghettato dall’aperitivo ( il decoroso rosè Delamotte), all’inizio del menù vero proprio. Fiori , erbe, verdure e germogli sono quasi tutti di produzione propria , ormai uno chef moderno senza un orto biologico alle spalle della cucina si fa fatica ad immaginarlo. Una prima parte dove è tutto molto bello e leggiadro, in un soffio di primavera.

Nella seconda parte si farà molto sul serio e si toccheranno vette di sapore di altissimo profilo. Ma intanto ci sarebbero da riguardare gli amuse bouche, quasi tutti intesi in chiave tradizionale quanto a sapori ed accostamenti, come fosse la classica raffica di antipasti del pranzo domenicale dalla suocera piemontese coadiuvata dalla nuora di ritorno da un viaggio in Oriente, ma qui trasformati di forma e consistenza, e che ho deciso di non commentare singolarmente per lasciare spazio all’immaginazione. Immaginazione estensibile con un click per apprezzarne meglio la precisione nella costruzione o cercare di svelarne gli ingredienti, tra pomodori e bagnet vert, salsa tonnata, giuncata, lingua (d'oca), foie gras , gingerino, gaufrettes, caprino, lardo, tagliatelle "di pomodoro", ecc...



Ristorante Il Duomo, Alba.

Enrico Crippa

( fine prima parte )

- gdf -