giovedì 30 giugno 2011

Fleurie en Beaujolais: si, è qui la festa !

- del Guardiano del Faro-

La citazione di Curnowsky sul menù scritto a mano, aggiunta in un angolo, in alto, con tanto di freccetta d'attenzione, inequivocabile, essenziale. Citazione messa li in aggiunta alla bella serie di piatti "estremamente regionali", estremamente tradizionali . Ben 20 piatti , 20 ricette storiche di queste parti, dove non c'è praticamente nessuna allusione "all'altrove". Neanche molti vini a dire il vero arrivano da fuori, già a sentirti nominare Morgon Madame Chantal Chagny ti guarda di traverso con espressione interrogativa, come quando parli ad Accomasso del Barolo di Serralunga. Cose lontanissime nella loro mente, figuriamoci poi che da qui la Cote de Nuits sembra lontana migliaia di chilometri anche per noi, invece l'abbiamo lasciata da mezzora. Il sesto senso, il ricordo di qualche cosa di incompiuto o di mancato, la voglia di cambiare gusto, il desiderio di semplicità e di verità storica. Voilà, eccola, ora ricordo, ora posso chiudere il cerchio. Certo, la Rossa anche in questo caso aiuta, qui se non vedi che brilla UNA stella ( ma si! Furono DUE in passato) ci vieni magari lo stesso, ma solo se sei veramente appassionato ai vini di questa regione, cosa che non darei per scontato. Gamay e Chardonnay disseminati su centinaia di colline, mentre in basso, a valle, c'è il Dominio Duboeuf, l'imperatore del Beaujolais, non Leroy, insomma, qui ci si può anche venire, ma tutto prende una proporzione molto diversa. Qui ci si riconcilia con le cose più semplici ma non per questo da mettere in secondo piano, perché la piacevolezza rustica di questi vini e di questa cucina secondo me valgono comunque il viaggio. Ne abbiamo assaggiati solo dieci, e quattro bottiglie di vino, poi siamo rientrati flemmaticamente a piedi nel vicino albergo , che si chiama... Hotel de Grands Vins, vabbé , andava bene anche de Bons Vins ma da già che c'erano si sono un po' allargati. Questa è gente orgogliosa e seria, felice di ciò che possiede e onorata di far conoscere il proprio microcosmo a quelli che, come molti di noi che hanno fatto un percorso eno-gastronomico importante, poi potrebbero far fatica ad intendere una semplicità che è invece festosa ed appagante. Sono condizioni che essendo diventate rare invitano a lasciarsi andare, perché di così vere ed oneste non ne trovi molte di situazioni. L'ospitalità di questo villaggio va oltre le sue piccole dimensioni, piccole come i prezzi dei suoi vini, della sua cucina, della sua ospitalità alberghiera. Si, colpa anche dei prezzi, più che abbordabili, anche questo alleggerisce la testa e leva i freni inibitori, e così abbiamo esagerato, veramente esagerato, e la mattina dopo l'abbiamo anche un po' pagata più dei prezzi in carta. Erano anni che non facevo colazione con coca cola, ghiaccio e limone strizzato dentro, però adesso sono felice di rivedere questi piatti e non escluderei di tornare in autunno per provarne altri dieci.


Toast de saucisson, radis e beurre

Terrine rustique de canard...

...avec cornichons, ail et ognasses en marinade à la moutarde - estragon

Salade de chevre chaud et lardons

Foie gras en terrine aux epices douces

Salade d'Ecrevisses , jeunes legumes

Escargots Bourgogne...

Le coq au vin

Grenouilles poélé, beurre, ail et persil

Poularde aux morilles et à la créme

Cassis de Lancié, leur pulpe en sorbet et glace à la vanille.

Petit pot de créme à la vanille

Chantal Chagny

Restaurant Le Cep
Place Eglise
Fleurie

Tel : 0033 (0) 474041077
-gdf-

mercoledì 29 giugno 2011

Franck & Teddy

Il Club dei Cento

- del Guardiano del Faro -

Non ci pensavo più, avevo in mente di scriverci sopra qualche cosa ma probabilmente l'entusiasmo si esaurì nella preparazione di un vecchio post, nell’introduzione di questo articoletto di presentazione storica della Guida Michelin che mi valse addirittura il compiacimento di Monsieur le Directeur, il massimo che può offrire il web, e cioè una pacca sulla spalla. Ne volevo parlare, almeno nelle intenzioni, perché andando a rileggerlo scopro invece di averne completamente dimenticato qualsiasi riferimento: in altri lidi

Ma le cose tornano, gli incompiuti mi inseguono e mi affascinano, anche se riferiti a piccole cose come queste, piccole cose ma grandi emozioni. Mi alzo presto nel Relais dei Chapel, scendo a far due passi, nessuna porta è chiusa, si potrebbe fare tutto il tour dell’albergo e del ristorante in solitario, respirando un atmosfera da pelle d’oca. La porta della cucina è addirittura spalancata, così come qualche finestra; c’è molto caldo anche se è mattino presto, hanno voluto comprensibilmente lasciare circolare liberamente l’aria durante la notte. La tentazione è tanta, si, me ne vado a fare un giro al buio attorno alla stufa del mito senza nessuno, io e Chapel. Mi guardo intorno, tra oggetti e attrezzature vecchie e nuove. L’istinto è di fermarmi al pass, mi manca il pass. Quel piano d’acciaio dove osservare lo chef che “finisce” il piatto, con le lampade che scendono a tenere alla giusta temperatura il contenuto e il contenitore. C’è tensione, poi l’ordine : via! il piatto é pronto, il cliente attende, andiamo al tavolo, tutti insieme, con o senza cloche. Mi riprendo dal momento di trans e ritorno verso l’esterno, fuori dalla cucina, ma mi devo bloccare di fronte a questo documento. Eccoli qua, quella simpatica banda di massoni , goliardici mangioni di sue secoli fa che non potevano certo aver mancato di conferire la loro glorificazione a “Monsieur Chapel”.

Nella fretta di scattare la foto non ho prestato attenzione se questo documento è l’originale o una riproduzione, non si vede la data di emissione, forse non usavano metterla, e non è chiaro neppure se l’attestazione fosse stata intestata a quale Chapel. Io credo a Roger Chapel, il padre di Alain, che morì giusto due anni dopo che Alain arrivò ai fornelli del ristorante che si chiamava “ Chez la Mere Charles” , ed in seguito trasformato nel Restaurant Alain Chapel. Dunque Alain rientrò nel 1967, il papà Roger aveva già acquisito la prima stella e sarebbe morto due anni dopo, mentre al figlio veniva assegnata la seconda. Ma non è questo il tema, il tema principale che avevo in mente di sviluppare è quello relativo al Club des Cent, il Club "segreto" ed esclusivo presieduto ufficialmente a partire dal 1912 da Louis Forest, Club che condizionò e influenzò le future assegnazioni delle stelle Michelin. Questa bella compagnia di ricchi mangioni e un po’ massoni si potevano vantare di avere in portafoglio la lista completa degli alberghi dove si potevano mangiare delle buone cose alla francese in un piatto pulito e su una tovaglia bianca. Non è che pretendessero molto in fondo, le stesse cose che pretendeva la Michelin, che dagli esordi chiarì subito che gli alberghi in difetto su quei parametri sarebbero stati “radiati” dalla Guida. Louis Forest faceva il giornalista e dalle colonne del “Matin” spiegò la filosofia del Club mantenendone tuttavia i caratteri di riservatezza.

Il Club esisteva già in precedenza, evidentemente, ma si sa che la riunione che ne definì quello che possiamo forse chiamare statuto fu approvato insieme alla nomina del Presidente il 4 Febbraio 1912 presso l’Hotel de la Biche di Evreux, a sud di Rouen ma non troppo distante da Parigi. Si sa anche del menù, che comprendeva preparazione classiche a base di : sogliola, poularde, daino, foie gras ecc . I vini ( in caraffa ) provenivano da Chablis e dal Medoc. Tra le “missioni” meglio identificative e tuttora attuali come concetto mi piace citare questa : La nostra missione è difendere il gusto della nostra grande cucina nazionale minacciata dalla chimica proveniente da paesi dove non si sa neanche far bollire un pollo” . Perché poi Club dei Cento? L’ironia non mancava, lo stesso Presidente rispondeva: “Club des cent kilo!” E così , mandando in vacca i discorsi distraeva l’attenzione su chi fossero i mitici cento soci in possesso del verbo culinario francese conservatore. Anche perché all’inizio non erano affatto cento ma una quarantina. Altri giornalisti ( le cose sono dunque cambiate poco…) albergatori, stilisti, industriali, politici, diplomatici e ricchi sfaccendati un po’ dandy. Il cerchio si allarga velocemente (ma non a più di 100 associati), amici e parenti, però una solo donna e anche qualche infiltrato dal mondo dell’alta ristorazione; un paio di questi conseguirono anche le famose trois etoiles . I centisti automobilisti viaggiano molto, vanno a mangiare, pagano il conto , se ne vanno e si segnano mille informazioni che alla fine di ogni anno vengono inserite in un carnet segreto. Guai a prestarlo o farlo vedere in giro, pena la radiazione! Molto anonimi però non possono certo rimanere, perché se é vero che di automobili ne circolavano ben poche, é ancor più vero che se all’automobile gli attacchi anche il fregio metallico del Club des Cent qualcuno del Ristorante visitato noterà la particolarità del cliente. Nel 1920 entra nel Club un certo André Michelin. I legami stretti tra la Guida Rossa e il Club des Cent portano all’incrocio di gentilezze, quali la stampa delle carte stradali Michelin sui misteriosi Carnet d’adresses dei Cento ed edizioni della Guida Rossa “griffata” per il Club. E’ chiaro che nel momento in cui André Michelin decise di iniziare ad assegnare le stelle delle buona tavola, nel 1926, si trovò per le mani una miniera di informazioni unica. Alla sua morte un altro Michelin entrò nel Club, Pierre, che fu anche l’ultimo, almeno ufficialmente. Dopo la sua scomparsa il sodalizio e una tradizione ormai solidamente costruita sparì. Dentro al Club però le grandi personalità non mancarono mai, provenienti da ogni settore culturale ed economico, da Pierre Cardin a Remy Krug per buttar giù due nomi notissimi, ma anche se ufficialmente i due mondi sono separati è difficile credere che qualche uomo del Club non abbia ancora un peso determinante nell’assegnazione di un tre stelle. -gdf-

martedì 28 giugno 2011

Monte Dall’Ora | Il bio Amarone

- di Fabrizio Nobili -


Per un appassionato borgognofilo come me, sempre alla ricerca dell’eleganza degli Gevrey-Chambertin e della finezza degli Chambolle Musigny sembrava difficile trovare un Amarone equilibrato, senza sovra -estrazioni che impastano la bocca rendendo difficili anche gli abbinamenti a tavola. Aver conosciuto qualche anno addietro Carlo Venturini e sua moglie Alessandra che producono vini con questa filosofia è stato per me una vera fortuna come consumatore e come persona, perché ogni visita alla loro cantina diventa una lunga e piacevolissima disquisizione, animati come sono dalla voglia di migliorare sempre ciò che fanno guardando, ascoltando, interpretando e mettendo in pratica gli accorgimenti dei maestri della biodinamica . Sì perché dapprima biologico, ormai Carlo Venturini si è convertito alla biodinamica seguendone scrupolosamente le metodologie, compreso il calendario di Maria Thun. Altra novità nelle sue tecniche di vinificazione è stata la scelta di introdurre la fermentazione in piccoli tini di rovere, così da poter valutare separatamente i risultati delle varie parcelle e di diverse tempistiche di permanenza, opportunamente predisposti per effettuare tutte le operazioni compreso il travaso a caduta, prima del passaggio in botti più o meno piccole per l’affinamento. Per quest’anno siamo stati informati che lo stato delle vigne è molto buono sebbene la stagione vegetativa è in anticipo di circa 20 giorni di calendario. Si è poi soffermato sul perché del sistema di coltivazione a pergola e della scelta di una ragionata “vendemmia verde”, tutte operazione volte alla ricerca di equilibrio (parola ripetuta diverse volte dallo stesso Carlo) della pianta, che lo ricompensa da così assidue attenzioni con una materia prima di altissima qualità: “perché il vino buono si fa in vigna”. Carlo è anche uno di quei pochi vignaioli italiani che parla di territorio, spiegando come le differenze geologiche tra Negrar, San Pietro in Cariano e Sant’Ambrogio Valpolicella danno vini con caratteristiche ben precise e riconoscibili fra loro; differenze che si notano poco negli Amarone in conseguenza dell’appassimento ed invece sono facilmente distinguibili nei semplici Valpolicella.



Il suo Valpolicella base che evidenzia una notevole acidità con note di ciliegia e pepe, il Superiore “Camporenzo” (dal nome della parcella da cui si ricava) certamente più complesso con una persistenza rimarchevole e l’Amarone sorprendente ed incantatore, bilanciato ed elegantissimo, con una bevibilità fuori dall’ordinario. Ormai sono conosciuti anche all’estero tanto da ricevere visite anche dal Giappone, come ci è capitato di vedere. Il sito internet è completo ed esaustivo:

http://www.montedallora.com/


lunedì 27 giugno 2011

Romain Chapel | Il cambiamento.

- del Guardiano del Faro -



Abituati all’immobilismo, a volte rivolto al classicismo ed altre volte ad un carattere più moderno, ma comunque immutabile delle Grandes Tables francesi, si può rimanere quasi spaesati quando alcuni dei riferimenti vengono a mancare, messi in discussione o rivisti in maniera più attuale. Ora, quando si cambia non si sa quasi mai per certo se la direzione presa sia quella giusta, quindi mi asterrei dai facili e istintivi giudizi conservatori rivolgendomi invece alla pura descrizione, la più obiettiva possibile spero. La prima cosa che si nota all’ingresso del Ristorante con camere dedicato ad uno dei più grandi cuochi di tutti i tempi è l’ombra di una targa dorata che non c’è più. Quella dei Relais & Chateaux è infatti stata rimossa lasciando un vuoto polveroso sul muro , al suo fianco ora brilla solo quella degli Chateaux Hotels filo Ducassiani. E questo è già un bel risparmio sapendo quanto costa star dentro alla più prestigiosa delle associazioni di Hotel e Ristoranti del pianeta. E neppure la lapide vetrificata dedicata ad Alain non ho più visto, altro segno di svolta. Anche la presunzione di voler fornire sempre un servizio di piccola colazione di altissimo profilo e di coerente prezzo, pure questo tra i marchi di fabbrica della R&C, è stato alleggerito e sostituito da una più moderna e agile proposta che non offre solo la possibilità più classica ed impegnativa, ma fornisce anche alternative più easy, come immediatamente dettagliato dalla prima brochure (vedi foto) che si può leggere entrando in camera. Dai 4 ai 21 euro, secondo le esigenze e l'appetito. La stessa disponibilità a fornire le camere migliori al prezzo più basso (quando ci si trova con metà delle camere vuote perché non farlo?) fa sentire l’ospite più gradito perché omaggiato di una gentilezza imprevista. Anche al ristorante le cose sono cambiate, perché rispetto al mio ultimo pranzo (rece su Passione Gourmet) del Novembre 2009, (stagione autunnale nella quale mi si dice che il giovane Romain Chapel ha fatto il suo definitivo ritorno a casa) ora il suo nome affianca sulla carta del ristorante Chapel quello di Philippe Jousse, l'uomo che avec la Veuve Suzanne Chapel ha portato avanti con grande coerenza e intelligenza la cucina lasciata orfana dalla morte di Alain Chapel (1990). La stessa carta non ha più l’opulenza e le dimensioni della lucente ed ingombrante Grande Carte alla francese ma è stata ridotta di formato e anche nei contenuti. Trovo però per lo meno sorprendente non vedere in carta in uno dei due più classici locali storici della zona (l’altro è Blanc) nessuno dei tre prodotti più attesi e richiesti da queste parti: la Poularde de Bresse, les Grenouilles e il Foie Gras. Troppo scontati ormai? Desiderio di differenziarsi? Inimmaginabile rinunciarvi in altri tempi. L’offerta estiva si basa invece molto di più su pesci e crostacei, sicuramente più calzanti ad una dieta alimentare adeguata alla bella stagione, ma su questa scelta tranciante avrei qualche dubbio, perché chi viene fino qui ci viene anche per quelle cose, quelle tre cose che contribuiscono al successo pluridecennale del grande vicino di Vonnas. La grande maestria che Jousse ha assorbito da Chapel è comunque replicata ancora oggi in alcuni classici rimasti per ora in carta, (e altri richiedibili all'atto della prenotazione) mentre a fianco, il soffio di novità è gestito già con buona personalità da Romain Chapel. Difficile invidiare il suo ruolo, il peso che si è messo sulla schiena è di quelli in grado di schiantare un mulo. Però non ci vedo presunzione, e neanche follia in quello che è uscito dalla cucina in questa occasione, solo un po’ di freschezza giovanile corredata da comprensibile entusiasmo, qualche sottile provocazione, aspetto quest’ultimo che sarà da verificare quanto gradito dalla clientela storica o più sonnolenta. I prezzi calmierati sono un altro aspetto su cui meditare in senso positivo, insomma, qui si sta cercando di rendere un servizio totale al cliente, senza gravarlo di costi superflui figli di un epoca ormai andata. La carta dei vini, altro termometro per capire quali siano gli intenti futuri, non ha perso qualità e neppure profondità, quindi tutto bene da questo lato. Abbiamo potuto infatti bere anche molto bene: Bollinger Grand Année 1996 (sontuoso), Raveneau Chapelot 1999 (un po’ al limite) e forse il miglior Cornas di questa vita, quello di Clape 1995 . Pizzicando tra il vecchio il nuovo, (6-7 piatti tra cui un eccellente agnello) la carta della coppia Jousse-Chapel denota l’inevitabile diversità di linea, perché le ricette collaudate nel tempo (ma ancora attualissime) hanno per ora probabilmente la meglio su quelle più recenti. Ma abbiamo già assistito altrove al capovolgimento delle parti, a Saulieu e Chagny per esempio, dapprima ancorandosi al pesante e vincente ricettario storico, e con gli anni rivoltare l’omelette dal lato non ancora dorato dal burro, trovando infine una nuova linea vincente e convincente tuttora degna delle tre stelle. Anche qui potrebbe andare in questo modo, in Francia è rarissimo veder decadere le istituzioni, piuttosto vengono chiuse, vendute, riadattate o convertite, ma raramente lasciate impietosamente decadere.


Il "vecchio" : Code di scampi su gelée di crostacei, crema di primizie al dragoncello e bouquet di verdure al vapore . ( 42 euro )

... e il "nuovo" : crema di rafano, verdure all'aceto -escabeche-, sgombro al prezzemolo piatto. ( 28 euro )





Alain Chapel
Romain Chapel & Philippe Jousse
Mionnay

Tel 0039 (0) 4 78918202

-gdf-



Qui trovate la recensione del Novembre 2009:

domenica 26 giugno 2011

Vino del giorno #2 : Barbera Vigna del Noce - Trinchero

La Barbera Vigna del Noce è un vino di terra, di profondo entroterra, lontana dal mare e radicata su dolci colline che guardano alle Alpi e al perdersi della pianura. E' una barbera pragmatica e autentica con tutte le sfumature che le stagioni sanno dare, dall'esordio primaverile all'estate caratterizzante con l'autunno che assiste al prologo invernale incombente. Esprime sempre e comunque tratti sicuri e caratteriali.

Percorrendo a ritroso le ultime annate disponibili il 2004 profuma di foglie che si lasciano tingere di colori autunnali, di cielo carico e sentori cosmici quasi Byrdsiani, sa di lavoro in vigna e di saggezza contadina. Il 2003 scorre liscio, denso, lento e inarrestabile, sa di caldarroste e cachi maturi guarda i tramonti fugaci e scalda l'aria anche negli inverni piu' freddi. Il 2002 è esile ed elegante come un'alba dopo una notte tersa, ha il tipico frutto in primo piano, è di una forza che si impone senza arroganza, quasi consolatoria, riesco a berla anche in questo torrido inizio estate, e.. quel '90 come sara' ?

ps mi si perdoni qualche licenza poetica ma per me il vino è sempre piu'un gioco emozionale, ho abbandonato l'ais da tempo, le asettiche analisi sensoriali non fanno piu' per me..

Il vino del giorno : Bugey Méthode Ancestrale Cerdon

- gdf 2011 -

Fidatevi del Guardiano ;-) con questo caldo afoso ci vuole proprio un vinello canaglia come questo. Quello che i francesi definirebbero “un vin de plaisir” e che in effetti si conferma tale, molto piacevole , senza complicazioni aggiunte. Un vino furbetto, alla portata di tutti, anche degli astemi . Un vino a bassa gradazione ( 7 - 8 gradi ) , dal colore ruffiano come un kir royal, dal profumo sfacciato di piccoli frutti rossi, petillant, rinfrescante e con leggero residuo zuccherino a renderlo idoneo anche ad una bevuta pomeridiana, magari in spiaggia sotto l'ombrellone , muniti dell'ormai immancabile e modaiolo "ice bag". Questa appellation si trova a metà strada tra Ginevra e Lyon, nel dipartimento del Ain. Il municipio di Cerdon è uno della decina di comuni che appartengono alla denominazione e sta a pochi chilometri di distanza dalla cittadina di Bourg en Bresse. Quando uno si trova a passare da quelle parti in direzione Lyon o Ginevra a volte si può domandare: ma chissà che uve si coltivano da queste parti…? Le uve usate sono Gamay e Poulsard. Il Metodo Ancestrale adottato per la vinificazione è qui in link, spiegato in dettaglio : http://www.vinsdubugey.net/04_vinification.htm


Il Domaine, nello specifico quello di Alain et Elie Renardat Fache, ci comunica in etichetta che trattasi di un vino demi sec pétillant par fermentation spontanée . Volendo fare un paragone grossolano potrebbe ricordare un Brachetto "spumante" non tropo secco . Si tratta di un piacevole vinello estivo da buttare giù senza moderazione, però forse meglio in un fresco giardino piuttosto che in spiaggia a pensarci bene, o sulla terrazza di un qualche bistrot, in flute non troppo ampio ( per non perdersi il malizioso perlage sotto il naso) e con l'aggiunta di una fragolina o di una ciliegia fresca. L’azienda è in attesa di certificazione bio. Per chi volesse saperne di più questo è il sito del produttore: http://www.alain-renardat-fache.com/vinification.html

-gdf-

venerdì 24 giugno 2011

Il decimo Anniversario del "Domaine" Pacalet

- del Guardiano del Faro-





















E infine arrivò un La Tache 1974 con il tappo galleggiante. La festa improvvisata con Philippe Pacalet e signora si è conclusa con questa bottiglia gentilmente offerta da Philippe per festeggiare il decimo anniversario della sua prima mise en bouteille; il cui primo millesimo fu appunto il 2001. Molto elegante da parte sua scegliere dalla sua cantina personale una bottiglia simbolica, per via dei suoi trascorsi di lavoro per famiglie che furono legate alla DRC e perché il 1974 è il millesimo della sua giovane moglie, appassionata vera di vino e ovviamente innamorata di tutto ciò che rappresenta la Borgogna. A contatto con un personaggio pirotecnico come Philippe (ma a ben guardare più tecnico che piro) non ci si può mai annoiare, ha sempre un pensiero o una qualche affermazione per ogni tema: i commercianti di vino dovrebbero occuparsi di venderlo il vino, e non di diffondere ideologia o far politica... sai quanto mi costa lavorare mezzo ettaro di Echezeaux? 60-70.000 euro ! Per lavorarlo, non per comprare il vino... I miei vini sono dunque cari? ... Una parcella di un ettaro di Puligny premier cru oggi costa due milioni e mezzo di euro, ma tanto nessuno vende, se no lo stato si prenderebbe più della metà del ricavato in tasse... Hai sentito questi 2004 ? Ti ricordi com'erano, beh! dai , tutto sommato anch'io ho fatto dei progressi... I grand cru non devono essere più concentrati o troppo potenti, devono essere solo più precisi, più dritti, più definiti... gli americani vengono qui e vogliono i grand cru più concentrati? Dito medio alzato...E via così, a ruota libera, partendo dalla consueta degustazione a la pipette in cantina con tutti i 2010 nel bicchiere. Acido, delicato e preciso il millesimo che segue al sovradimensionato 2009. Alcuni vini, come l'Echezeaux, sono più nitidi e definiti del 2009. Il Ruchottes è per uomini veri, ma anche Chambolle premier cru e i diversi terroir di Gevrey hanno fornito una materia importante che si sta trasformando in eccellente vin de plaisir sull'immediato e che dovrebbe potersi ben affinare come è il caso del 2006, di cui abbiamo stappato un premier cru e uno splendido Ruchottes grand cru. Che vino quest'ultimo! Degno delle sue migliori riuscite risalenti ai tempi dei Prieuré Roch, di cui abbiamo ancora ben in mente dei 1999 antologici. Occhio ai bianchi per il 2010, consigli per gli acquisti : il solito Corton Charlemagne non si smentisce ma è il nuovo Meursault Perrières che impressiona per stoffa e pienezza, acidità e mineralità. Insieme al Corton Charlemagne sicuramente il miglior bianco prodotto in questi 10 anni da Pacalet. Niente più Clos de Bèze invece, il mancato accordo con il proprietario ha fatto si che questi sei magnum 2009 che ci siamo portati via rimarranno un pezzo unico, buono da bere o da collezionare.Chi ne trovasse o ne avesse già comprato, sappia cos'ha in mano. E alla fine rimaniamo con nel bicchiere il commovente La Tache 1974, piccola annata, grande terroir, grande mano, per un vino che ha ancora qualche cosa da dire, belle cose, anche se Philippe a stappare bottiglie non dimostra di possedere la stessa delicatezza e la medesima cura che impiega nel far nascere i suoi vini.

- gdf-

E' iniziata la mise en bouteille à la main nella cantina di Philippe, si comincia con il Bourgogne 2010 e si proseguirà così in tempi diversi per le previste 45.000 bottiglie del millesimo.

giovedì 23 giugno 2011

La cucina bisex di Jean Paul Jeunet


- del Guardiano del Faro-



Dei marshmallow rosa, l’immagine di sintesi che ho scelto per mandare un messaggio credo chiaro. Perché non si può scrivere la vera definizione per questo tipo di cucina , non sarebbe politicamente corretto, però penso ci siamo capiti, e niente da criticare o da stigmatizzare sul tema delle scelte personali, qui si tratta semplicemente di leggere, annusare, guardare, assaggiare, pagare, e per quel che mi riguarda, gradire poco. Una cucina profondamente estetica quanto insapore, fronzoli e paillettes, priva di concentrazioni, al minimo storico di sapidità, coerente quanto indisponente, e dove l’unico urlo è in falsetto, su una demi glace tirata al limite , ma dell’amaro. Se vi piacciono i gusti delicati , monotoni, schivi e monocorde questo è il vostro posto, diversamente allontanarsi perché per quanto attrattiva da leggere, bella da vedere e gradevole al naso, questa cucina rivela uno stile rispettabile quanto evanescente . I gusti intensi e concentrati non abitano qui. Ed io questo cercavo tra la Bresse e il Jura. Non carni bianche che sembrano bollite, gamberi di fiume insipidi, salse, creme, schiume e altre punteggiature che non sanno di niente. A fianco di ciò dei fuori giri isterici come appunto in quella demi glace lasciata tirare verso l’amaro o in quella gelatina di Vin Jaune aggressiva e spiacevole una volta approssimata ai delicati gamberi. Solo le verdure e i cereali risaltano, compresa un'ottima scelta di pani maison. Una cucina che tende a voler piacere a tutti, o a molti, ma che così rischia invece di doversi rivolgere ad una nicchia ristretta, se è vero quanto dichiarano normalmente le persone sul tema dei gusti personali, diversamente sarei molto sorpreso. A seguire alcune immagini che sembrano smentire quanto espresso, e volendolo, perdendosi nelle inutili e prolisse descrizioni di qualche piatto , dove si citano profumi, acidità e contrappunti in realtà irrintracciabili dal palato.






Grosses Ecrevisses « Déclinaison entre Tradition & Modernité »

Les Queues sur une Compotée d’Amande & Céleri Racines, Gelée de Vin Jaune, Arroche Juste Tombée à l‘Huile de Noisette,

Les Coffres en Vinaigrette de Gingembre, Nage de Légumes, Une Tempura à l’Estragon,

Un Consommé « Filtre » aux Sucs & une Emulsion au Carvi


Lapin Fermier, « Chou-Navet » & Origan

En Déclinaison : La Poitrine Confite, l’Epaule Pressée aux Trompettes, Le Râble Piqué à l’Origan,

Chou Rave Confit & Jus Balsamique au Vinaigre de Vin de Paille



Poularde de Bresse, Morilles & Vin Jaune

En Deux Cuissons : La Cuisse Pochée au Fumet de Vin Jaune Farcie d’une Mousseline aux Morilles,

L’Aile Contisée de Foies Blonds & Epices Massala,

Accompagnée de Riz Mélangés de Différents Pays aux Herbes Epicées


Première Rhubarbe de Printemps,

Comme un Blanc-Manger, Croustillant d’Epices,

Sorbet Naturel de Rhubarbe & Lait de Gentiane

Glace Vanille Bourbon comme je l’Aime

Accompagnée d’un Sirop & d’un Croquant au Sucre de Vanille Bourbon


Molto bravo il sommelier, nello spiegare e nel proporre al meglio la propria regione.


Hotel Restaurant Jean Paul Jeunet
9 rue de l'Hôtel de Ville - 39600 ARBOIS – JURA
Tél : +33 (0)3 84 66 05 67 Fax : +33 (0)3 84 66 24 20 -

-gdf-