mercoledì 7 novembre 2012

Tutto quello che non avevo mai scritto su El Bulli


 - del Guardiano del Faro -

Ci siamo, settimana prossima scade il terzo anniversario di un evento che cambiò il mio modo di analizzare criticamente la cucina contemporanea, ma in questo momento non è di cucina che voglio parlare, ma del senso delle provocazioni, quelle che amo fare, quelle che mi vengono spontanee, quelle che mi hanno fatto rischiare più volte due schiaffi. Quelle che però non gradisco molto se provocate da altri. A distanza di tre anni mi va di raccontare il lato B di una serata indimenticabile, per forza indimenticabile. Attenzione però, questo post supera le 7000 battute scritte, a cui vanno aggiunte le consuete sottintese.

Lo sanno in quattro quello che  realmente accadde quella sera disgraziata in Cala Montjoi. Lo sanno con certezza solo in quattro, gli altri per sentito dire. Quei quattro sono due ottimi chef stellati e un mio ex associato del  blog Passione  Gourmet, quei tre con i quali stavo a quel tavolo da quattro prenotato da almeno sei mesi. Il quarto è il proprietario, Juli Soler, che in parte condivise i momenti cruciali di quella pazza notte, confortandomi con qualche sguardo sfuggente mentre facevo avanti e indietro dal bagno, che come molti sanno, è esterno al ristorante, e quindi per raggiungerlo dovevi per forza attraversare tutta la sala attirando l’attenzione della cinquantina di clienti.

Juli Soler: ho letto da qualche parte che non sta bene, perché è affetto da una malattia neurologica. Mi dispiace molto per lui, in bocca al lupo. Proprio una malattia neurologica. Pensare che da quelle parti proprio un neurologo, Miguel Sanchez Romera, intraprese una quindicina di anni fa un cammino abbastanza simile a quello di Ferran Adrià, ma con risultati e successi molto diversi a L'Esguard.

Non dovevo neppure esserci a quel tavolo, ma chi doveva stare seduto a quel tavolo al mio posto ebbe un piccolo problema, piccolo ma abbastanza importante da dovervi rinunciare, dandomi quella possibilità che non desideravo, ma che sentivo di  dover cogliere. Oggi mi rimane ancora un dubbio però: veramente non ci poteva andare o intendeva innescare consapevolmente la bomba? Avrei dovuto andarci quindici anni prima a El Bulli, quando, come si usa dire a Biella: quando si poteva mangiare.

Ma decisi di andarci lo stesso, e di raccontare sinteticamente cosa accadde, ma solo relativamente al cibo, al vino, all’ambiente, al servizio. Per scrivere quella che in gergo si chiama recensione fotografica e didascalica di un ristorante. Quella recensione fu pubblicata in due parti. La prima non destò troppo scalpore, forse perché rimasi molto tra le righe, in maniera prudente. Quando mi resi conto che il mio messaggio non era passato alzai il tiro, e quel blog che fino al giorno prima era un luogo virtuale piuttosto tranquillo diventò una bolgia infernale. I contatti quadruplicarono in dodici ore e i commenti non furono teneri verso chi osò scrivere, tra le altre cose taglienti, che se quel modo di intendere il cibo fosse diventato una realtà nel prossimo futuro, il mondo avrebbe potuto fare a meno di dentiere ma avrebbe avuto necessità di molta carta igienica. Non posso neppure immaginare oggi quanti ci siano passati sopra per leggere o per commentare. I commenti, ma quanti furono?

Le altre cose non le scrissi perché non pertinenti alla materia, alla rigidità espressiva che ci eravamo imposti, quella rigidità insopportabile già a medio termine, figuriamoci a lungo, come rimanere fermi a letto sempre nella stessa posizione per un intera notte, anche se ti svegli più volte e ti chiedi: perché non voltarsi dall’altra parte per vedere se è meglio o peggio? Non scrissi nulla anche perché poteva essere condizionante nel pensiero di chi leggeva. Come dire, ecco, gli sono successe queste cose e quindi ha sparato a zero. Invece no, nessun alibi, quella sera si mangiò in quel modo, ma accaddero anche altre cose.

Ora, a distanza di tre anni, con quel ristorante ormai chiuso da tempo, posso ritornarci sopra serenamente e riderci anche sopra, perché visto dal di fuori, come da una telecamera che riprende le scene dall’alto, adesso mi farebbe solo ridere rivedermi a correre in giro per la sala per i diversi motivi, che iniziarono con una botta di colite causata dalla prima sequenza di snack gelidi e alcolici.

Ma fino a quel punto, niente di grave, anzi, così feci spazio per le sequenze successive, perché ricorderò per sempre che le portate furono 42. La seconda situazione di crisi fu dovuta ad un piatto che intendeva essere una declinazione intorno al pistacchio, nelle sue diverse forme e  consistenze. Una di queste consistenze era decisamente durissima, e non so neppure quanto voluta, né mi sono messo a verificare se quel pistacchio che mi spaccò in due un molare aveva ancora il suo guscio. Forse si, non so quanto volutamente ma forse quel pistacchio andava sgusciato a mano invece di finire in bocca con gli altri più o meno morbidi, teneri, o liquidi. La disattenzione si paga.

Appoggiai il pezzo di molare sul tavolo; ma poco prima avevamo già subito un colpo alle gengive inferto da una specie di tavoletta di tè verde apparentemente innocua se non che amarissima e ghiacciata a -18°, che contribuì non poco ad accentuare il dolore nella zona dentale poi accidentata, e quindi provocando un dolore sul dolore, e aprendo la strada ad una nevralgia al trigemino che mi convinse a tornare in bagno per sciacquarmi la bocca dai residui del dente sbriciolato e nel contempo prendermi un antidolorifico per calmare il dolore nevralgico.

Ma al mio ritorno un’altra insidia si stava rivelando nella seconda e devastante parte del menù, dove per un paio di volte il mio cervello accese tutti gli allarmi rossi e mi convinse a risputare nel piatto delle cose insopportabili, e che comunque mi girarono lo stomaco, costringendomi a tornare di nuovo in bagno per problemi di stomaco stavolta. E fu così che, ad acqua pulita per fortuna, il mio HTC scivolò fuori dal taschino della giacca e volò dritto in fondo al cesso. Pluff! Dritto dritto, senza neanche sbattere sui lati della tazza. Ad acqua pulita dicevo, e quindi fui lesto a recuperarlo, a correre di nuovo in mezzo alla sala verso il nostro tavolo, smontare in più pezzi il telefonino e tentare di tamponare l’emorragia usando tovaglioli e tovaglia, per altro già massacrata di mille macchie per via dei diversi snack dalla consistenza inconsistente, e spesso da mangiare con le mani, e che spesso cadevano dalle nostre mani su quella disgraziata tovaglia, ormai degna di Pollock.

Il telefonino non si riprese mai più, io invece per qualche istante si, almeno fino a quando non arrivò il colpo di grazia, la famosa lepre. Quella che non si può definire ancora oggi con il termine esatto in pubblico. Di quanto fosse avanti di frollatura quella lepre ne abbiamo di nuovo parlato recentemente io e uno dei due chef che condivisero quel tavolo, e la sua espressione schifata non è ancora cambiata da quella sera.

Altro giro in bagno quindi, e finalmente la fine del menù e del supplizio. Non ci dovevo andare, quella non cucina lo sapevo che non faceva per me, ma una parte delle mie personalità non voleva rimanere ignorante, mentre l’intuito sapeva già, ma non fino a che punto la  cucina di Adrià potesse essere double face, come le mie diverse personalità. Per metà divertente, stuzzicante, buona. E per metà provocatoria fino ad andare a cercare il limite della sopportabilità. Andando a scavare profondo nei palati dei clienti, per capire fino a che punto fosse lecito osare. Mi ero cercato e trovato un altro alter ego, quello che può essere simpatico, divertente, brillante, e che poi può virare sulla più acute delle provocazioni, per vedere l’effetto che fa, fino a rischiare di essere preso a schiaffi; cosa che quella volta subii io.

Tornai a casa un paio di giorni dopo, avvisando amici e parenti dal telefono fisso di un hotel vicino alle magiche notti del Sarrià, dicendo loro che non potevo essere rintracciabile sul telefonino per motivi di forza maggiore, e che lo strano modo in cui mi esprimevo al telefono fisso non era dovuto ad una patata lessa e messa sotto la lingua ma dal gonfiore della colpevole gengiva infortunata.

Tornai a casa in macchina, da Barcellona al Faro sono 700 i chilometri. Sarebbero sei ore, più o meno. Se non ti si guasta un vetro elettrico, quello anteriore lato guida, quello non fondamentale se entri in autostrada a Courmayeur e sei diretto a Napoli, perché a ben pensare tutte o quasi tutte le barriere e i caselli intermedi sono stati soppressi. Ma in Spagna no, così come in tutto il sud della Francia. Le barriere saranno una dozzina? E a metà novembre ci potrebbe essere parecchio freddo e vento. Ma potrebbe andar peggio. Come? Potrebbe anche piovere.

Per il resto, tutto bene.

-gdf-



6 commenti:

  1. una conferma di quello che facesti intuire già allora...

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  2. caspita che racconto! battuta dopo battuta si delinea la descrizione di una serata che definir surreale è poco, puoi definirti fortunato a raccontarla ancora...
    ho molte perplessità sulla sperimentazione a tutti i costi ma ho trovato elegante la tua scelta di far decantare ricordi e giudizi, trovo che abbiano ancor più peso.

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  3. Ci potresti scrivere la sceneggiatura di un film, attore principale Javier Barden nella parte del gdf. Ma quel pistacchio al centro della foto sembra proprio abbia ancora il guscio...
    B.

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  4. B-Sembra anche a me, ma nella concitazione del momento non verificai. Agli altri che avevano lo stesso piatto non accadde nulla...

    La Femme- La scelta di raccontarlo solo oggi sarà anche elegante ma non cambia la sostanza, mi auguro solo che quel folle decennio andrà declinando naturalmente. Fin che ci sarà insalata perché mangiare alghe e soja?

    Per chi vuole rivedere i dettagli, il link è ancora funzionante dai PG, e i soli commenti della seconda parte sono arrivati a 111. Quelli della prima parte non li ho contati, ma credo molto meno.

    Il primo commento fu proprio tuo breg.

    Pure la sceneggiatura di un film?

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  5. Il lato A era notevole, ma io sono per il Lato B, ancor meglio.
    A&P

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  6. Buonasera,


    questo post fa riflettere, ricordando l'edizione PG... mancava solo il Gin Tonic per endovena...

    Massimo
    U gianchettu milanao

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