giovedì 20 marzo 2014

L' Amicizia con un vino.


di Fabrizio Nobili

Diversi anni fa il ns gdf mi fece conoscere un vino; seduti al tavolo stellato di un ristorante vicino alla stazione del treno ebbi modo di sentire qualcosa che poche volte nella vita può capitare: la nascita di un'amicizia.

Sono sensazioni di facilità comunicativa ed interpretativa dei concetti e dei pensieri. Trovare riscontro positivo sempre e comunque senza falsità troppo spesso necessarie per farsi accettare da un qualsiasi “club”. Mi annoiano gli sforzi fatti per entrare a far parte di un terroir eccellente nella speranza di essere ammirati dal popolo bue.

Dovrei ascoltare di più mia moglie che sensorialmente ha più fiuto di un segugio sia che si tratti di olfatto per un vino che per un profumo umano-caratteriale. In questo caso il suo silenzio vale più di mille parole. Ascolta, raccoglie, elabora ma non giudica. Buon segno ! Nessun problema nei paraggi.

Delle volte capita che si è iscritti in un club che in questo caso è un' AOC e poi per motivi esterni (così è se vi pare) da un giorno all'altro non si fa più parte di quel club perché così è stato deciso da altri. Cos'è cambiato in seguito? Niente Eloi, niente!

Il carattere , la convinzione, la certezza di essere nel giusto non ha scalfito il terroir e la personalità, solo forse un piccolo sforzo commerciale si è reso necessario ma niente di che. Non è sufficiente chiamarsi Grand cru per essere il meglio. Molto più divertente è quando uno sconosciuto qualsiasi supera il primo della classe che ha pure la possibilità di favoritismi ( non parlo e mai parlerò di calcio ).

Avevo in cantina una decina di annate in verticale quando ebbi la fortuna di Conoscere il papà del mio amico. Fu sorpreso che un appassionato qualsiasi conoscesse il suo prodotto tanto da consigliarmi in quale sequenza sarebbe stato meglio berli negli anni a venire.

Certo che ci si potrebbe quasi scandalizzare davanti ai consigli relativi ad un banale vino che non può nemmeno fare la chaptalization come tutti i vini da tavola che non partecipano a nessun club. Niente favoritismi, lo zucchero lascialo usare a chi vuole indorare la pillola o a Mary Poppins.

Gli amici sono lo specchio dell'anima e non servono parole, bastano gli sguardi, a volte non servono neanche quelli che le risposte arrivano e sono quelle giuste.

Se somiglio in qualcosa sarà certamente per la rusticità complessiva, per l'atipicità notevole se paragonata alla materia prima da cui deriva ma è questo il bello del mio amico: non ha paura di essere se stesso.

Il suo 2000 ha un colore rubino intenso e profondo quasi denso, profumi precisi caldi e dai colori scuri che passano dal marrone al nero. l'unico riferimento paragonabile che ha un colore diverso è la balsamicità delle foglie di menta.

Grande spalla acida e persistenza lunghissima completano le banali note che anche mio figlio sarebbe in grado di scrivere se solo gli fosse permesso.

Un grazie mille al tappo che ha fatto tutto per bene nel mantenere integre le condizioni di una bottiglia che si può bere anche tra parecchi anni ma che mi è servita per ribadire che un vino con grande personalità lascia più segno di un vino tecnicamente impeccabile.


F.N.

2 commenti:

  1. La sproporzione era quanto mai evidente.
    Come poteva essere possibile che lo stesso vino fosse nel listino di un noto importatore italiano per una decina di euro quando la medesima bottiglia e medesima annata stava in carta al Louis xv a 180 euro ?
    O lo chef de cave del Grand Hotel de Paris aveva perso il senso della misura oppure ne sapeva più di quanto immaginabile. E dall’altra parte l’importatore o si era dimenticato di aggiornare il costo storico del prodotto oppure si era reso conto che fosse meglio disfarsene.

    Avevo imparato a conoscere i vini di Eloi Durrbach da pochi anni e ne apprezzavo le caratteristiche primarie da vino giovane per la sua finezza, per la trama rarefatta, la leggerezza alcolica e l’aderenza territoriale del suo bouquet che parlava di sud senza sembrare profondo sud.
    Poteva un vino meridionale derivato da cabernet sauvignon e syrah che si reggeva su soli 12 gradi di alcol invecchiare così bene da poter essere venduto a 180 euro ?
    Portammo via la prima cassa e poi la seconda rimasta e così verificammo che aveva ragione lo chef de cave del Louis Xv . Trevallon rouge 1988 era un grandissimo vino.
    La sensazione alla cieca era di avere nel bicchiere un grande Medoc degli anni 60-70 ( prima della Parkerizzazione) , con il tipico tono di rubino chiaro rarefatto. Al naso però l’evoluzione del naso primario del cabernet virava coerentemente verso il goudron assistito da una fine speziatura di pepe e cannella, olive nere, foglia d’alloro e genericamente dalla garrigue provenzale, a cui la vigna portò via il terreno.

    Proprio la percentuale alta di cabernet sauvignon e il sorprendente aggiornamento di quella A.O.C. portò Trevallon fuori dalla denominazione locale Baux de Provence, dovendo quindi accontentarsi non senza drammi di quella di V.d.P. du Bouches du Rhone. Etichettatura che anche per questo motivo gioca da una quindicina di anni sempre su elementi artistici diversi, frutto dell’amicizia storica tra la famiglia Durrbach ( papà René fu pittore e scultore) e personaggi del calibro di Pablo Picasso o Fernand Leger...

    ....

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  2. "Portammo via la prima cassa e poi la seconda" e ce le fumammo
    M 50&50

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