venerdì 8 agosto 2014

Piacendo alla critica

Piacendo alla critica si piacerà anche al pubblico? Arma a doppio taglio la buona critica. C’è di che ferirsi. E’ successo di nuovo, e sinceramente mi dispiace, anche se era nell'aria.

Quando in un ristorante si esprime una cucina d’autore molto originale può succedere che il mondo delle opinioni si spacchi in due. Non una crepa o una micro frattura, proprio una frattura esposta.

Ascolti i guru della critica, quelli che guardano avanti, quelli scrupolosi e attenti, quelli che conoscono anche la storia, o quelli che mangiano con lo stuzzicadenti, e (quasi tutti) ti confermeranno che quello è un numero uno. 

Ascolti i colleghi (dello chef preso ad esempio) e a voce bassa ti elencheranno invece una serie di cose che non funzionano nel tal locale, a partire dalla concezione della cucina, nella costruzione dei piatti, nella mentalità contorta applicata agli abbinamenti di ingredienti che vanno contro natura e contro la storia, per non parlare del servizio e dei prezzi. Proteina su proteina. Carne su pesce, pesce su carne. Uovo.

I clienti normali addirittura insorgono e seguono a ruota gli chef concorrenti, che però potrebbero soffrire di gelosia verso quello in fuga, ma ecco che pure il produttore di vino -anche se fornitore del famoso ristorante- non riesce a contenere il suo avvilimento per come ci ha mangiato. Qui all'Armadillo Bar si può dire liberamente, tanto di qui ci passano solo quattro gatti; qui le mutande sporche ce le si lava senza che la frenata in mezzo al solco crei clamori.

E io che cosa ne penso? Me lo chiedo e mi rispondo, perché se no chi lo farebbe per me? Penso a quei piatti, che in parte ho gradito, mentre altri mi hanno lasciato perplesso, non sarà facile farli digerire al popolo pagante, che non credo abbia un palato d’amianto, ha semplicemente un'esigenza diversa dal critico: vuole mangiare bene, dei piatti comprensibili, ed essere servito in maniera coerente all’ambiente, alla fama del locale e dello chef, e in proporzione alla spesa. Quando mi trovo in quelle condizioni mi guardo intorno e cerco lo sguardo del pubblico, quello che non cerca con insistenza l’emozione della vita ma “solo”  una bella serata da ricordare.

Diversamente dal critico professionista, il cliente normale non va al ristorante tutti i giorni, e quindi non è saturo come chi quasi tutti i giorni si siede assediato dalla noia e quindi si aspetta fuochi d’artificio che gli risveglino le mucose.

Di buono c’è che in questi grandi ristoranti gastronomici cittadini, si trovino a Milano, Torino o Roma, quasi tutti ci vanno con la priorità di gustare i piatti e per bere grandi vini, serviti al meglio all’interno di un ambiente consono. Basta leggere testi e commenti sui diversi blog e forum : verso certi livelli intesi come livelli certi non ci si avvicina a cuor leggero, ma ci si avvia con la famosa e pericolosissima "alta aspettativa".




Non è sempre così a quote intese come inferiori (diciamo dalle parti di una stella Michelin per capirci), dove il cliente medio ci va per portarsi la fidanzata un paio d'ore e poi chiudere la serata felicemente distesa,  o ci va con un cliente, o con un fornitore per chiudere al meglio un affare, ci va per un anniversario, ci va perché l’hanno invitato, ci va perché il proprietario gli è simpatico e quindi la compagnia e la chiacchiera gli chiuderà comunque bene la serata … insomma, ci va per motivi diversi dalla straordinarietà dei piatti..

Me ne resi conto definitivamente nel periodo in cui mi misi dall’altra parte della barricata, osservando il vario pubblico a tavola. Il cliente gourmet non mi è parso mai superare il 5% del totale. E quelli attenti al vino anche meno. Quindi ben venga questo rialzo dell’attenzione sui grandi locali che piacciono molto alla critica, anche se poi vengono stroncati dal pubblico.

La conclusione è abbastanza amara. Succeda a Milano, succeda a Torino, città abbastanza grandi da poter raccogliere un bacino di utenza sufficientemente ampio perché la fidelizzazione di un cliente che possa diventare abituale sia intesa come una condizione relativa, pericolosamente relativa per chi ci ha investito tanto. Tanti denari messi sul tavolo, a cui il critico risponde cuori, mentre il pubblico marca picche, nascondendo dietro la schiena un mazzo di fiori.


gdf



2 commenti:

  1. Il percorso degustazione mi ha portato fuori strada e fuori budget, ma il dodicesimo piatto mi ha ripagato di una decina d'incertezze e di un pelo nell'uovo, mi è sembrato addirittura di sentire i fuochi, non so se sia stato influenzato dalla critica o da un artificio dello chef, adesso ci guardo...ah ho capito era solo una padella sul fuoco, mi ero disabituato, devo stare attento a quel che mangio e a quel che leggo, oggi ad esempio tutti quei semi e quelle carte mi hanno mandato in confusione, credevo di avere una buona mano ma non l'avevo letta bene, chiederò al Casinò, sembra abbiano assunto un bravo croupier, non gli hanno dovuto pagare nemmeno l'alloggio...
    M 50&50

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  2. C'è ancora troppo analfabetismo alimentare. Quando qualcuno capirà che questa è la vera piaga da sconfiggere allora le cose potranno anche cambiare. In meglio.

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