lunedì 30 novembre 2015

Luna in brodo di giuggiole


M 50&50


Quando ho saputo che saremmo andati a pranzo ad Alessandria, all’Osteria della luna in brodo, un bel locale in pieno centro storico, in zona pedonale, ho sperato di poter utilizzare il titolo “la luna in brodo di giuggiole” che ho voluto, comunque, dare a questo post.

Già nel 1612, nel Vocabolario degli Accademici della Crusca, troviamo quest’antica espressione di provenienza toscana, andare in brodo di giuggiole, che in senso figurato significa andare in sollucchero, uscire quasi di sé dalla contentezza, purtroppo, però, Domenica ventinove, non è stata proprio questa la mia sensazione, o per lo meno, non mi sembra giusto usarla per identificare tutto il percorso enogastronomico, forse, chiari di luna, avrebbe potuto essere più appropriato, ma non corretto fino in fondo, perché, in fondo, in questa Osteria ci sono stato bene, il fatto che abbia gradito più i piatti freddi, in apertura e quello di formaggi in chiusura, piuttosto che primi e secondi caldi che non mi hanno “scaldato” può essere un mio limite, il limite che in Piemonte rischia di essere una costante, partono bene, poi il calo fisiologico su primi e secondi e, a raddrizzare, i formaggi, in fondo si parte bene e bene si chiude, peggio sarebbe il contrario…

I formaggi, ben presentati e ben accompagnati, sono la soluzione ottimale per chiudere al meglio un degustazione ad euro venticinque che, oltre ad una barbera scaraffata, comprende svariati antipasti, un bis di primi piatti, un piatto di carne (o, meglio, uno di formaggi) ed un dolce.

La luna in brodo di giuggiole quindi, per accoglienza, servizio e disponibilità, per la gradevolezza degli ambienti colorati e ben illuminati, per la collocazione dei tavoli, ben distanziati e armoniosamente apparecchiati, per la carta dei vini dai prezzi accessibili, per le gradite bollicine in versione rosè e per la proposta degustazione ad un prezzo invitante e concorrenziale.

Il tutto esaurito nel locale è un’ulteriore conferma della validità dell’offerta che a mio parere si fonda su due pilastri imprescindibili di un’autentica trattoria piemontese, l’offerta degli antipasti freddi, arricchita da buoni salumi e da un buon cestino del pane e, soprattutto, da due carrelli dei formaggi, che, assieme a qualche buona bottiglia, valgono comunque il viaggio e danno un valido motivo per ritornare…e se il bonet sembra più un tortino al cioccolato che non entusiasma, per onestà intellettuale bisogna ricordarsi e ricordare a chi legge che per un buon cioccolato non si deve cercare di fare una spesa modica ma la spesa a Modica.

Il fatto che non sia stato necessario optare per una contrattura delle scelte in carta per potersi concedere qualche strappo allo regola in termini di scelte liquide siano esse bollicine, rossi o distillati è, di per sé, cosa buona e giusta, inusuale e gradita, torneremo, magari in pieno inverno, ordineremo un brodo, di giuggiole…e aspetteremo fiduciosi il tuffo della luna.

M 50&50


il salame del Giarolo

Culatello

Sant'Ilario

Peperoni e acciughe al verde

Tacchino farcito

Insalata russa

Agnolotti al ragù e rabaton mandrogni

Spaghetto ai carciofi

Un riassunto dai due carelli dei formaggi

Brasato

Millefoglie

Bonet


M50&50

domenica 29 novembre 2015

L'agnello scozzese e il maiale toscano

gdf


Caro Ivano, Cara Elisa, l'anno 2015 va a finire, e come in ogni termine di periodo, viene il momento di tirare le somme, guardare i risultati e decidere che fare nel prossimo futuro. Nonostante questi pensieri in mente, non può passare inosservato questo devastante menù iper-proteico imbastito e cucitoci addosso da The Cook, dove tra un agnello scozzese ed un maiale toscano ci si è infilato anche un maldestro pollastro genovese, buono per ravvivare una batteria di Borgogna rossi utili per la didattica. Dalla teoria che attraverso la pratica ci conduce a dare spessore ad il nostro bagaglio di informazioni, quelle informazioni che contribuiscono a creare quella condizione mentale in continua evoluzione, quella cosa che si chiama esperienza, spesso confermata, ma che a volte va aggiornata


Menù ricco, neppure tutto documentato in questo breve album di foto ricordo da fine anno, da inserire in questo blog come pro memoria, come si fa nelle lacrimose giornate fredde di fine anno, quando si decide quali immagini ricordare e mettere nel cassetto dei ricordi e cosa cestinare.  Qui, da cestinare restano alcune foto inguardabili, che farebbero sfigurare il lavoro di Ivano in cucina e di Elisa in sala. 


Una crema di patate con cotenna di maiale croccante, il bouquet di frittura. gamberi rosa, salvia, zucchina, carota e deliziosa crocchetta di baccalà mantecato. Un assaggio di petto d'anatra fumè, per riposizionare il timone in una direzione che per una volta si scosti dal mare e possa dare appoggio ai pinot noir di annate più o meno recenti, più o meno in forma, tutti provenienti dal magico comune di Gevrey Chambertin.




Una riuscita variazione d'agnello, un filetto di maiale panato con salsa speziata ai cachi. Tagliatelle verdi al ragù di salsiccia, e poi, all'improvviso, un bbq di maiale con purè a la Robuchon. Il primo freddo invoglia a proseguire in una sorta di Wellington (senza immagine) e su una selezione di formaggi d'autore culminati con un sorpendente gelato di gorgonzola  noci con pere fresche ...





Piiivini, come  diceva la Gerini a Verdone, il più verdone si conferma il testimonial del giorno dell'annata 2007, che insieme alla 2004 resta la peggiore da quando gli pterodattili si stancarono di volare sulle Abbazzie dei Cistercensi. Neppure Bernard Dugat ce la poteva fare ad uscirne senza tracce evidenti di tè verde su un tessuto marcato da radici di genziana e troppo poco frutto. 

Molto serioso il Clos de Bèze 2006 di Bruno Clair, che ammicca al naso con le sue note di cioccolato bianco, ma che si rivolge al palato esibendo tannini fini ma talmente fitti da saturare il cavo orale. Il blend comunale di Denis Mortet 2005, opera ultima, ci dice che questa grande annata non aveva neppure bisogno di tutta questa concentrazione per far vini buoni o ottimi, da bere con piacere subito ed in seguito consolidandone le sensazioni, mantenendo le posizioni più elevate, ma solo una volta superato il famoso periodo di chiusura intermedio; questo per la migliore annata borgognona en rouge dal 1978.

L'altro Clos de Bèze, in magnum è stato l'opera unica di Philippe Pacalet nell'altra magica annata recente, la 2009. Un ricamo, un merletto, un campione di finezza che non avrà ne' repliche ne' riproduzioni. Le ultime buone annate in Borgogna in tema di rossi sono state quelle pari: 2010 - 2012 - 2014, e così i fratelli Rossignol Trapet, che subiscono Gandhianamente ogni annata, non potevano certo sbagliare nella favorevole 2010, per giunta su un terroir d'eccezione come è Latricières Chambertin, delizioso quanto rarefatto.

Nel complesso tutto abbastanza confortevole per affrontare con pacata malinconia il periodo più triste dell'anno, da qui al 31, con nel mezzo altre giornate consolatorie come queste.


The Cook

... stay tuned...


sabato 28 novembre 2015

Il sabato del guardiano : " mi consigli un vino francese che fa ca@are? "


La domanda, messa giù così, sembrerebbe eccessivamente interrogativa, diretta oltre che snob, ma in origine la questione fu proprio questa, trasformata poi in un lessico più elegante: " sto vivendo un momento stipsico della mia vita enoillogica: mi daresti l'indicazione certa per raggiungere un vino francese eccezionale e che abbia nel contempo effetti lassativi? Ma proprio nel senso fisico, non metaforico."

Oltraggiare il mito dei grandi vini francesi domandandosi se esistono vini lassativi? Hai voglia, te li godersti anche mentre li espelli di vescica, e alcuni più di altri, e non solo quelli che provocano effetto metaforico, anche quelli che più fanno cagare fisicamente, o fisiologicamente, non importa; l'importante, come in ogni atto, é arrivare alla conclusione.

Meccanismo idraulico in testa. Un Borgogna? vendemmiato, vinificato, imbottigliato, bevuto e pisciato in 18 mesi.

Però quelli che provocano l'effetto intestinanale finale e definitivo non sono molti, mentre quelli che lo stimolano mentalmente, mille volte di più, provocando però stipsi già dal medio periodo dall'assunzione frequente. Quindi eviterei accuratamente i bordolesi occlusivi se già avete avuto problemi vostri per espellere corpi estranei agli europei.

Normalmente sono i biodinamici quelli liberatori -più i rossi- perché hanno un'anima antociana dentro, quella che vuole ritornare in fretta nel mondo dei vivi, quella che dopo l'ingestione vuole immediatamente ri-uscire liberamente all'aria, per ribadire, ancora una volta la propria fibra, sperando di esser finalmente compresi, tesi poco, molli si, pronti ad ossigenarsi ed idratarsi subito, fosse pure attraverso lo sciacquone. Lo stallatico, prima e dopo. 

Come disse una sommelier non golosa alla sua piccola. Sai, sei carina, e pensa che stavo per ingoiarti sotto forma diversa.

Un tubo condominiale, un depuratore, un torrente o un mare gli ridarà vita una volta che la propria anima ripulita dallo stallatico tornerà sulla terra. Un'anima autoctona, resa vitale sotto forma di lievito spontaneo o di liquido concimatorio, ad alimentare un nuovo spirito pied de cuve dentro un vigneto.

Quella volta, lui stava proprio steso, a letto, e così, invece di un clistere di Faugéres o di Cahors consigliai addirittura un grande Bourgogne rosso di Dugat Py per via orale; non me ne voglia la signora, ma mi sembrava così di andar sul sicuro, io che non riuscivo a finire una boccia in 45 minuti senza passarne 15 sulla tazza, potendone quindi bere 2 guardando una partita di calcio della nazionale di Conte.

Tutta quella concentrazione di materia non poteva essere contenuta a lungo nei visceri; da qualche parte se ne doveva pure andare. Emozione, sensiblità, sesso, prostata, fibre, alcol, glicerina ... bha, tante domande ma una sola risposta; tutto insieme andava. 100 euro subito finiti nel cesso, nel pieno senso della filosofia dell'effimero, ma dell'effetto secondario che non lo è per nulla.


Noti sono anche gli effetti positivi del limone sull'intestino, specie se preso al mattino con un poco di acqua calda. A questo punto però, invece di strizzare limoni e scaldare l'acqua calcarea del rubinetto tanto vale farsi un bicchiere di citrico Muscadet della Loira a temperatura ambiente, meglio se accompagnato dal suo abbinamento d'elezione, l'ostrica, però non fresca, meglio se aperta da qualche giorno, per godere al massimo dell'effetto sull'intestino della carica batterica. Non secondario anche l'effetto diuretico. Due effetti con un solo prodotto, manco in farmacia lo trovi, e senza effetti secondari.

A caro prezzo ma ad esito garantito ci sarebbero a disposizione anche i grandi vini del Rodano, in dettaglio dalle parti della denominazione Cote Rotie, dove insieme ad alcol e glicerina troveremo le note pepate del Syrah, che è vero che irrita l'intestino sensibile, ma che nelle annate più calde sarà sopraffatto dal tipico sentore -evocativo- di prugne cotte e membri afflosciati; un abbinamento musicale?

Qui ci vorrebbe Hazel. 

Coldplay?

gdf

venerdì 27 novembre 2015

Il venerdì del Dj: Aoc Champagne Cépages Blancs Extra Brut 2006 Fleury


La Maison già la straconosci, giacchè diversi prodotti sono transitati su queste pagine.

Non più di cinque mila bottiglie per questo 100% Chardonnay.
Non meno di sei anni sui lieviti, bouchon liège, oltre 1 anno di sboccatura.
Che sia la bacca bianca la senti e la identifichi, nondimeno, non la collochi su, a nord, nella Costa dei Bianchi. Infatti.
Infatti siamo a sud, nell’Aube.

Il perlage è davvero fine, con un naso subito espressivo e brillante: molta frutta fresca - esotica, agrumi, susina e mela cotogna – e secca – mandorla e nocciola - erbe aromatiche e leggeri toni biscottati. Inizialmente contratto quanto a mineralità e speziatura, dimostrerà tutto il suo valore e la sua dimensione, giusto liberato il collo del flacone.

Effervescenza finissima e tanta roba, di cesello e nitore, anche in bocca.

Armonie di frutta e folate speziate, verticalità, fine struttura e freschezza, sono espressione di un equilibrio al di là delle attese. Sorso ininterrottamente teso e dinamico, lunghissimo, su note finali, amarognole, di spezie e pietra focaia.

giovedì 26 novembre 2015

Origano selvatico



Marco 50&50

Calabrese o siciliano, ne senti la mancanza, probabilmente lo usi anche come repellente per formiche, è comprensibile, in fondo ti capisco, sul mio personale podio c’è una rossa con capperi che guarda quasi tutte le altre dall’alto della sua lievitazione, il salto di qualità è dato  dal profumo inebriante e stimolante dell’erba aromatica più utilizzata nella cucina mediterranea e nelle cucine di tante casalinghe disperate e non che da Trieste in giù, passando per Voghera, cospargono le loro pizze di Origanum vulgare.

Insaporire un’insalata di pomodori aumentandone paradossalmente la sapidità pur diminuendo il consumo di sale, preparare una pizzaiola il cui profumo spargendosi mette fame e allegria e quando vien la sera, magari al chiar di luna, la caprese potrebbe trovare nuovo sprint condita con un filo  o due di extravergine e spolverizzata di origano, insomma, s’allunga il conto e l’affare s’ingrossa, anche perché la pianta ha anche notevoli proprietà cosmetiche e, soprattutto, medicinali, è conosciuta infatti anche col nome di “erba del buon umore”, sembra funga da antidoto contro il nero nell’anima…

Questa pianta perenne , che può anche essere coltivata, cresce spontanea e, spontaneamente, evita di farlo in pianura padana, sarà per questo che qui, tra la nebbia, l’apprezziamo maggiormente, la mancanza di disponibilità aumenta il desiderio, convivere con una velina spingerà l’uomo verso passioni culinarie…

Tra allusioni e allegoria il passo è breve, rimanendo nel tema, c’è spazio luogo e tempo per un madrigale condivisibile…

Gabriele D’Annunzio – Alcyone - Madrigali dell’estate – A mezzodì

A mezzodì scopersi tra le canne
del Motrone argiglioso l’aspra ninfa
nericiglia, sorella di Siringa.
L’ebbi su’ miei ginocchi di silvano;
e nella sua saliva amarulenta
assaporai l’orìgano e la menta.
Per entro al rombo della nostra ardenza
udimmo crepitar sopra le canne
pioggia d’agosto calda come sangue.
Fremere udimmo nelle arsicce crete
le mille bocche della nostra sete.

…sembra passato un secolo, in realtà qualcosa in più, “A mezzodì” è datata primi del novecento, l’esperienza erotica tra le canne (da intendersi giunchi) regala rime baciate (e quali altrimenti) di grande spessore, da una consolle immaginaria arrivano versi ritmati e suoni, più che parole, richiami latini e classici giocano con i sensi, svelando una passione sensuale condita d’origano.

M 50&50


mercoledì 25 novembre 2015

Sabato, domenica e lunedì a Milano ... via Tortona 32

C.S.
"
Sabato 28 Novembre: ore 16 – 22 Domenica 29 Novembre: ore 11 – 19 Lunedi 30 Novembre: ore 10-17

Mancano ormai pochi giorni a Cooking for Art Milano:l’evento organizzato da Luigi Cremona e Witaly che coinvolge migliori alberghi, i migliorChef e le aziende vinicole ed agroalimentari del territorio. Prodotti ed eccellenze italiane ma non solo: nel Temporary Restaurant si susseguiranno, nelle giornate di sabato, domenica e lunedì gli Chef di:Terre di Aristeo, Unione Comuni Alta Ossola, Ambasciata della Bolivia e Pasta De Cecco. In questo spazio verranno proposte ricette per l’assaggio al pubblico preparate da diversi Chef di valore indiscusso.

Nelle giornate di Sabato e Domenica ci saranno le qualificazioni del Concorso Chef Emergente Nord d’Italia 2016, dove i protagonisti saranno 20 giovani Chef. A concorrere per la Lombardia:  Edoardo Fumagalli - Locanda del Notaio, Luca Capellari – Essenza, Dario Guidi - l'Antica Osteria Magenes, Francesco Coppola - 28 posti, Davide Caranchini - Casa Santo Stefano; per il Piemonte: Cristian Pirelli - Ristorante EOS, Marcello Tiboni - Locanda Walser Schtuba, Tommaso Roberto - La locanda del Borgo, Stefano Sforza - Gemma di Rosa; per la Liguria: Cosimo Bunicelli - Agrigourmet Intatto; per l’Emilia Romagna: Pietro Montanari - Ristorante Cesoia; per il Veneto: Silvia Moro - Ristorante Aldo Moro, Francesco Brutto - Undicesimo Vineria, Marco Volpin -  Le Tentazioni, Luca Borrelli – Revolution, Federico Belluco - Dopolavoro Dining Room, Michael Silhavi - Osteria Ponte Pietra, Luca de Biasi - Vecchia Malcesine; per il Trentino Alto Adige: Jorg Giubbani - La Stüa de Michil; per il Friuli Venezia Giulia: Carlo Nappo –La Catina.Tra questi giovani Chef solo 4 saranno i finalisti che Lunedì 30 novembre  gareggeranno per il Premio Miglior Chef Emergente d’Italia 2016.

In concomitanza ci sarà il Concorso Pizza Chef emergente Nord d’Italia 2016: Sabato saranno previste le qualificazioni che vedranno in gara 13 giovani pizzaioli del Nord d’Italia, mentre Domenica si svolgerà la Finale dove 6 di questi giovani pizzaioli gareggeranno per conquistarsi il titolo di Miglior Pizza Chef Emergente Nord d’Italia 2016.

I pizzaioli in gara saranno: Giulio Rega - Santa Lucia, Alessio Rovetta         - Pizzeria dei 7 Ponti, Marco Borriello - Pizzeria Italia 78, Luca Prosperi - L'Alambicco, Antonio Lentini - Da Loris, Vittorio Astorino - La Favola Mia (in apertura), Matteo Moretti - Ristorante Pizzeria Lo Scalo, Luca Bedin - Luca's Pizza, Matteo Finazzi - Pizzeria Brian, Diego Fiorenzano- Un posto al sole, Matteo Pellizzer – Grigoris, Gianni Di Lella - La Bufala, IndritHaraciu – o’Fiore Mio.

Inoltre, il giorno lunedì 30 Novembre sarà dedicato all’eccellenza della pizza italiana; a Pizza Chef di fama nazionale è stato chiesto di realizzare delle degustazioni per il pubblico visitatore. I protagonisti saranno: Paolino Bucca–NazionaleItaliana Pizzaioli, Leone Coppola-Vecchio Ottocento, Graziano Bertuzzo-Pizzeria Brian e Scuola Italiana Pizzaioli, Danilo Pagano- Nazionale Acrobati Pizzaioli (SNAP) e  Scuola Italiana Pizzaioli, Angelo Silvestrini-Nuovo Ronche.


A completare il programma della manifestazione ricordiamo la presentazione della Guida Touring Alberghi e Ristoranti D’Italia 2016 e la premiazione delle strutture in Guida. Sarà presente uno spazio dedicato alla Guida Vinibuoni d’Italia 2016,Touring Editore. "

martedì 24 novembre 2015

KOTA RADJA



Marco 50&50


Riflessi&Riflessioni di Novembre sul Naviglio

Entro da Supino.
Desidera...
Vorrei un paio dei vostri mitici cannoncini
Non ne abbiamo
Sono passati trent'anni e non è cambiato nulla, le dico, più rassegnato che stizzito.
Lascio il profumo inebriante di alta pasticceria all'antipaticissima proprietaria prigioniera dei suoi cliché che non credo funzionino più nemmeno con le "sciurette" della nuova borghesia milanese e m'incammino verso un altro ricordo trentennale sperando che parli la mia stessa lingua.


Ingresso


La sobria ed accogliente saletta con vista su Piazzale Baracca


L'anonimo diffusore di lume di candela


Toast di gamberi, qualcosa di fritto per iniziare, as usual


Miefang Kota Radja, a base di spaghetti di soia con verdure, gamberoni fritti, maiale in agrodolce, spiedino di pollo in salsa di arachidi, maiale in salsa agro piccante, crauti con l'ingrato compito di sgrassare,  pollo in salsa piccante

Gentilezza, cortesia, disponibilità, ambiente accogliente ed estremamente pulito, prezzi modici, a pranzo ci sono un paio di menù che, a parità di costo, vincono la sfida milanese con il gioco di equilibrismo in verticale da bar, un panino in una mano, una birra nell'altra.
Uno dei cinesi che resistono da anni, gli abiti non necessitano di passaggio in lavanderia a meno che non ci si lasci prendere dalla foga con le varie salse a disposizione.
L'ambiente silenzioso, i tavoli ben distanziati, la musica in sottofondo, invitano al dialogo e a prolungare la sosta ai box, che si tratti di una pausa lavorativa o del pranzo di un perdigiorno poco importa.
A pranzo non si paga il coperto, eppure tovaglia e tovaglioli non sono di carta, non è necessario spintonarsi per poter ordinare un caffè al bancone del bar, basterà chiederne uno al premuroso cameriere naturalizzato milanese ma Corso Magenta è davvero dietro l'angolo, come i ricordi trentennali...il caffè targato 20112015 lo prenderò da Biffi.

M 50&50

lunedì 23 novembre 2015

Tano passami l'origano


Una prima scossa gelida ha anestetizzato il naso del nord, bloccando contemporaneamente il processo vegetativo di moltissime piante, che non vedevano l'ora arrivasse -il freddo- per riposarsi qualche mese, ma è invece da più di qualche mese che una varietà di pianta non settentrionale è scomparsa dalle cucine e dai piani di lavoro delle pizzerie del nord Italia: l'origano.

L'ho fatto notare a Gaetano, detto "Tano il Campano", ma che non ha saputo darmi spiegazioni, se non una, che traduco dal salernitano all'italiano : "dopo dieci volte che mi dicono "senza origano" mi sono rotto i co@lioni e allora non lo metto più su nessuna pizza. Punto e basta. Perché non lo digeriscono ... perchè è di più, perchè è superfluo..."

Il caso di Tano e dei suoi clienti con la papille interrotte e lo stomaco impedito non è purtroppo isolato, e così dopo l'ultimo giro pizza composto da sei diverse pizze classiche in locale VPN senza origano NON me ne sono fatto una ragione, nel senso che d'ora in poi le mie specifiche le metterò sempre ben in chiaro. Così imparano: ci vorranno dieci minuti in più per ogni comanda.

Sostanzialmente i comandamenti sono tre:

A) Sulla pizza voglio mozzarella di bufala di Cuneo, perché più soda e non perché sia fanatico della bufala tout court, quanto perché l'altra mozzarella -nove su dieci- si rivela poi essere quella poltiglia tritata di fior di latte di dubbia origine e qualità, quella che crea quell'effetto Spizzico. Se no va bene anche la bufala campana, anche se non sempre garantita, garantita di essere fresca piuttosto che frutto di lavorazione di latte congelato, ma per lo meno integra nella forma, e più saporita di gusto .

B) Sulla pizza voglio l'origano. Su quasi tutte, tranne la margherita, dove esigo il basilico fresco, e non una sola fogliolina messa alla fine, ne voglio almeno sei, ma messe prima, meglio se appena unte d'olio, così non bruciano nel breve tempo che la pizza passa in forno.

L'origano lo voglio ovunque sulle altre "rosse", e anche in quantità congrua, visto che normalmente sa di poco. Certo, quello calabrese, -quello a mazzetti- che uso in casa è un'altra cosa, ma in mancanza di quello mi va bene anche un origano che sia un pochino meglio del fieno, e di quello ce ne vuole un po' di più per profumare di buono una pizza.

C) Non voglio nulla di crudo sulla pizza. Questa moda di metterci sopra prosciutto crudo, speck e affettati di ogni genere in uscita dal forno non mi è mai piaciuta, ma anche questa mania non cessa di rovinare una vera pizza, dove gli ingredienti si devono fondere armonicamente o per contrasto durante la cottura, non dopo. L'altro giorno pure le scaglie di parmigiano ci hanno messo sopra a crudo, insieme al salame piccante -pure lui a crudo- e senza origano. Una solenne merdaccia. Il pesto si, quello va in uscita, a gocce.

Ma porca la decenza, ma è possibile che ogni italiano ha una specifica per il caffè ma davanti ad una pizza si ammutolisce e mangia? Comunque. 

Com'era? Anzi, come dovrebbe essere:  Arriva 'a pizza e iesce sole? 

Questo non sono riuscito a tradurlo.

Tano, la prosciutto e funghi oggi me la devi fare così: poca salsa di pomodoro San Marzano, mozzarella di bufala di Cuneo, fettine di porcini Alto Atesini sott'olio  e spalla cotta di San Secondo a ciuffetti. E origano calabrese! A pioggia! E tutto in cottura. In uscita, per cortesia, passaci sopra un giro di olio buono, Pianogrillo se possibile, e basta. Grazie, e se me la tagli con la rotella in sei spicchi do la mancia alla cameriera ...

Se cercate un lavoro più gratificante abbondate di origano e abbandonate l'account linkedin, quello si, sicuramente inutile più che superfluo


gdf

domenica 22 novembre 2015

Il salto della quaglia




Nella foto in apertura, presa dal web, l’ingresso del Tri Basei in un giorno soleggiato, oggi la periferia milanese si mostra per quel che è ed è sempre stata a cavallo tra le due stagioni più fredde e umide e, ritrosa, si rifiuta di farsi ritrarre.

Marco 50&50


C'è posto per due viandanti ?
Dopo essere stato ben accolto e gentilmente fatto accomodare in uno storico, (come vedremo è il caso di dirlo) ristorante sulla Via Emilia, sento pronunciare le parole in apertura di post e capisco di essere arrivato nel posto giusto.

Per poter varcare la soglia, evitare la sogliola e chiedere all’oste un piatto unico, ma anche raro, una volta legato il cavallo, ho dovuto superare tre gradini, one, two, Tri Basei, (plurale del sostantivo maschile Basel, scalino) da sempre simbolo del locale che esiste da secoli tra le vecchie cascine di Rogoredo e San Giuliano Milanese.

Prima di iniziare il mio pranzo targato diciannove novembre duemilaquindici, scambio due parole col cordiale e disponibile titolare, il Signor Beppe, che mi racconta dell’esistenza di un vecchio passaggio sotterraneo che un tempo collegava l'Abbazia di Chiaravalle (distante in linea d'aria seicento metri) a questa trattoria che continua a tenere la barra ben salda e in linea con la tradizione meneghina.

La storia di questa località risale al VII-VIII secolo, in corrispondenza del IV miglio dell’antica strada romana da Milano a Lodivecchio, inizialmente venne eretta come oratorio, San Martino in strada, come sarà denominato per secoli.

La piccola chiesa di San Martino e la cascina che sorse di fronte ad essa sull’altro lato della Strada, sono nominate nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” di Goffredo da Bussero, scritto nel XIII Secolo.

Da qui passarano nomi illustri della storia d'Italia e d'Europa, la località è stata muta testimone di numerosi avvenimenti di rilievo, passaggio di eserciti, re, prelati e papi, diretti a Milano, come l’imperatore Federico Barbarossa nel 1160, come gli Svizzeri del cardinale Schinner che dalla città andavano incontro all’esercito del re di Francia Francesco I per esserne sconfitti a Melegnano nel 1515.

La località e la chiesa di San Martino sono state per secoli la tappa delle “barre” che trasportavano a Milano i prodotti agricoli della Bassa, grazie anche all’osteria ospitata nella cascina fino ai primi decenni del Novecento.

Nel 1755 San Martino con la sua osteria risulta affittata a Pietro Paolo Vigo, che contribuì con 150 lire alla costruzione del nuovo altare della chiesa di San Donato, poi nel 1765 arrivò la famiglia Limonta, che, in possesso di licenza per la vendita di frutta e ortaggi da vendere sul mercato milanese avrà notevole fortuna, quando il re Vittorio Emanuele III era in visita a Milano, lo chef del ristorante Savini inviava espressamente un uomo a cavallo ad acquistare l’acetosella di San Martino, con la quale avrebbe preparato una minestra di cui il sovrano era particolarmente ghiotto.

Oggi i nuovi osti, in qualche modo, possiamo dire, discendenti di chi nutrì il re, al quarto miglio della strada romana o al civico cinquantaquattro della Via Emilia, poco cambia, quotidianamente, a metà mattina, mettono on line le proposte salva euro per i viandanti affaticati & affamati pronti al pit stop per onorare la sacralità della pausa pranzo che saltando a piè pari la pennichella romana, conduce al lungo pomeriggio lavorativo molto milanese.

Il ristorante, chiuso la Domenica e Sabato a pranzo, oggi propone, tra le altre cose, una formula che, come vedremo dal conto, convince e, ce ne fosse bisogno, mi convince.

Acqua, calice di vino, caffè, coperto e un piatto unico superior ad un prezzo concorrenziale.

In carta, oltre al risotto con le quaglie testato & gustato, un’altra soluzione indipendente cielo-terra, l’ossobuco col risotto e poi busecca, cazzoeula, salumi & sottaceti, nervetti & cipolla, mondeghili, cervella di vitello dorata alla milanese, rustin negàa, cotoletta di vitello e qualche altro piatto ininfluente, perché qui il passante se esce dal binario potrebbe ritrovarsi sul passante che passa poco distante ma porta molto distante.

Sono soddisfatto & appagato, il piatto arriva al tavolo dopo la ventina di minuti canonici, il riso al dente, ben mantecato e bollente, gustose e saporite le quagliette.
Finisco il piatto fino all’ultimo chicco spolpando bene i volatili e lascio ad altri o ad altra occasione il salto della quaglia di minor soddisfazione…



M 50&50

sabato 21 novembre 2015

Il sabato del guardiano : il miglior tagliere della città


Ne abbiamo viste di ogni. Di ogni genere di classifiche, per prodotto e per città. L'hamburger, la pizza, il gelato, il panino, la sfogliatella e bla bla bla. Mi manca una classifica particolareggiata che si occupi, -città per città- e che segnali in maniera infallibile quali siano i miglior indirizzi per strafogarsi di affettati.

La moda divampa ma le informazioni languono. I locali che li propongono sono sempre di più, ma la qualità dei prodotti impiegati non è sempre -quasi mai- all'altezza delle aspettative. Le moderne osterie che li propongono sono spesso al completo, nonostante la qualità non lo giustifichi. Questo, ahimè, fa pensare che la cultura sul tema sia piuttosto scarsa, sia da parte di chi li sceglie, sia da parte di chi se li mangia con soddisfazione.

Il più delle volte non è neppure una questione di prezzo d'acquisto, ma semplice pigrizia, o volendo nobilitare il termine, "praticità". Normalmente arrivano da un unico fornitore, massimo due, che vengono individuati casualmente dal ristoratore, che si limiterà poi ad assemblare almeno una decina di taglieri diversi per composizione ma abbastanza omogenei di qualità.

La fantasia però non si pone limiti, e così, ai taglieri tematici, quelli di soli salumi, saranno affiancati da quelli misti, dove non mancherà di emergere il candore di una grossa mozzarella o di una burrata. Altri formaggi saranno alternati ai latticini, spesso migliori di prosciutti, coppe, bresaole o salami, cotti o crudi, ma il vero tagliere d'autore manca troppo spesso all'appello.

E quasi sempre manca anche un appoggio coerente, e cioè un cestino di prodotti da forno che aiutino a riempirsi lo stomaco di carboidrati e proteine animali, con buona pace di ogni nutrizionista, che almeno uno scodellino di giardiniera di verdure vorrebbe fosse servita insieme a tanta esuberanza proteica. Sto sbadigliando mentre scrivo, senza benzina l'ibrido fatica a  partire

Un tagliere d'autore farebbe invece piacere di tanto in tanto, ma dove la selezione dei prodotti non sia frutto della consegna di un unico commerciante, ma bensì determinata da una scelta oculata, da una ricerca di prodotti locali affiancati dai grandi must della salumeria nazionale, ed eventualmente anche straniera, con ovvio riferimento primario alla straordinaria tradizione spagnola. Bene, e adesso che ho scritto benino ovvietà, tanto per, chiudo indicando il mio tagliere dell'anno, provato almeno due volte, a beneficio di chi sta in zona Milano - Varese - Como. Il locale sta a Saronno e si chiama Eidos, e si raggiunge con estrema facilità dall'uscita autostradale, ma non quella di Saronno, quella di Origgio, vicinissima, perfetta via di fuga dalle luci blu anche dopo aver bevuto un paio di bicchieri di vino, scelti nell'ampia carta dei vini del modernissimo cubo vetrato polifunzionale: enoteca, ristorante, bar, pizzeria, drogheria, mescita e rivendita di prodotti confezionati.

Affettati da Italia e Spagna, ma non solo purché se magna. Varietà e qualità parecchio oltre la media, anche quando si tratta di attingere dalle albarelle di verdure in agrodolce o in versione giardiniera. Pane, grissini, oppure una pizza bianca / focaccia, che faccia da goloso appoggio ad ogni giro di affettatrice, così che il porco sia degnamente festeggiato nel mese dell'anno a lui tradizionalmente dedicato.