martedì 28 febbraio 2017

Oscar alla migliore acciuga fritta non protagonista : and the winner is


- gdf -

Un sacco vuoto non può star dritto. Ambiguo il concetto ...
Sarà stato per via della tarda ora, sarà stato per via dell'appetito conseguente -comunque scarso- ma se è stato quello considerato uno dei tre migliori palati della Penisola ad emettere il verdetto bisognerà credergli anche se non va più dalla Clerici.

Stimolare, fomentare, provocare e poi verificare. Ci vuole pazienza, poi, sul medio termine si porta via un buon risultato. 


Mi andrebbe bene anche un pareggio, invece arriva la certificazione del boss che afferma : questa è la mia miglior acciuga in 40 anni di carriera.

Non io, bravo lui, bravo Piero e, bravo Luigi ad averla colta quasi per caso, lungomare, immaginando la profondità non di questo mare ma di questo entroterra, da dove si pescano cose che definire confidenziali è ... è confidenziale.

Si, è un'acciuga, ma -aspetta- approfondendo lo è fino ad un certo punto, quello che definisce un'acciuga e apre il successivo periodo.


Quello che apre la visione del pesce al territorio che gli sta alle spalle. Sorpreso, fino ad un certo punto, mi tiro su faticosamente dal divano e vado ad assaggiare.

Ah, è sempre lui.

Si chiama pregubbiun o preboggion che dir si voglia, a seconda della vallata, a seconda del mix di erbe selvatiche che trasformano naturalmente un raviolo ( o le fantastiche raviore di Montegrosso Pian Latte ) e che trasformano una cosa semplice o persino banale in una piccola grande preparazione inimitabile, proprio perché le erbe spontanee non sono mai


mai uguali.


- a bassa voce - progressivamente, sto diventando vegetariano, vegetariano con salsa.


Le mele pudiche, quelle che non prendono più il sole integrale 
Quindi non è detto che si possa sempre farle uguali -le acciughe ripiene- ma bilanciando i profumi e i sapori del probuggiun ci si può approssimare alla perfezione.

QUI c'è l'elenco delle erbe e la definizione.

Qui gli altri piatti del giorno di Piero Bregliano, che sta completando la parziale ristrutturazione del Ristorante Come a Casa di Ospedaletti proprio in questi giorni.

Riapertura venerdì 3 marzo : Licia Casella & Piero Bregliano - Come a Casa.


chef è una parola grossa, però è bravo, simpatico e, occhio : è del Leone

Verdicchio: il mio amico Luciano Lombardi chiamò così il suo cane, che rispondeva quando poteva.
Questo è buono.

Le acciughe ripiene di prebuggiun, fritte, asciutte, su una foglia da mangiare e accompagnate da una raffinata maionese al dragoncello provenzale. Premio Acciuga alla carriera.

Pure queste frittelle di baccalà si fanno piacere, inamovibili dal menù.

Cucina evoluta.
Tortelli di patate e limone, piccole cozze in infuso di alloro e fiori di borragine


Scorfano coi cavoli, che fanno bene - i cavoli - ma puzzano un po' di crocifera, mentre il pesce meriterebbe un compagno -si umido- ma meno coprente.

Crema di ananas e patate, profumo di zenzero e calamaretti in padella. Spaesa ma funziona

Carciofo alla Giudia, cardi e topinambur. 
L'avesse assaggiato il Cremona, avremmo un altro Oscar assegnato a Ospedaletti, per la cucina vegan-giudaista

Sgombro affumicato, rape di Caprauna, profumo di rosmarino.
Dice Piero. Di solito viene male in foto questo piatto.
Non sono il Vannucchi e neanche lo Zoppi, però se vuoi ne scatto una veramente brutta.


Kiss me Licia

gdf






lunedì 27 febbraio 2017

Jumanji | Rinoceronti travolgono Genova Voltri


- del Guardiano del Faro -

VOLTRI - Questo azzardo voleva probabilmente rappresentare l'ennesimo gioco cerebrale dell'Avvocato. Ci sto. Ma questo wine & food game, dichiarato come Gioco dell' Oca Farcita e stracotta poteva invece terminare nella cronaca al sangue.

Non un evento GDF ma un GOF che secondo The Wine Advocate avrebbe potuto diventare un food soft game grazie ad un giro di dadi,  fatto però di troppi tappi secchi e rotti, che nel mezzo del cammino ci tirano dentro in un altro Jumanji.

Li ho visti passare attraverso i vetri dei vuoti delle bottiglie dell'Amarone di Dal Forno. Erano almeno in 5 le bottiglie rinoceronte,  più un'altra mezza dozzina di magnum, più grosse ma ben più agili di un elefante.

Diverso dal rinoceronte piemontese -Rivetti- che tutto sommato, parlandogli lo stesso dialetto mio lo tieni a bada.

Il rinoceronte veneto non ha proprietà di linguaggio che distingua le singole dalle doppie, quindi non lo fermi con un colpo di dadi e, neanche di dardi. Ti travolge e basta se non lo schivi un secondo prima che ti faccia fuori.

Come si dice su Wikipedia, un rinoceronte lo riconosci ad occhio prima ancora che al naso.

Jumanji, la metafora riuscita dell'incompiuto.


E passi il casello il '93, che si ferma dalle parti dei 15 gradi della Riviera d'inverno, ma non credo sia la gradazione -legalizzata- la causa degli stati di allucinazione che leggo negli occhi di chi mi circonda.

Sarà probabilmente -credo- il residuo zuccherino in un vino secco a causare i pesanti effetti collaterali che vedo venire fuori dalle rughe dei commensali deformati.

Nel caso del '98, si somma -il citato residuo- ad una gradazione degna di un Porto che non vedi mai arrivare all'orizzonte.

State a galla fin che potete.

Un vino deviante, secco ma in fondo dolce e, che manda i 10 commensali un po' in acido.

Passato l'effetto iniziale di euforia ecco la caduta verticale dei pensieri e dei muscoli del viso.

Tappi secchi, discorsi demenziali - ma fin lì ci arrivo- incollati non solo al collo della bottiglie, in uno sbriciolamento di personalità che man mano si alienano lungo una sciarpa di seta che che cerca un appiglio, qualsiasi.

Non troverò mai un senso per questo vino, salvo in questa piazza di Imperia, che intravedo di ritorno, quando ormai l'Aurelia mi sembra tutta un rettilineo.



E' sempre Voltri, si , ma, ecco, questa è roba buona, tutti magnum di roba buona o diversamente buona, a partire da un rustico Barbaresco dei Produttori 1999 dall'evoluzione piuttosto accentuata. Rossignol Trapet 2007 sta trovando finalmente una strada da cui uscirne senza quei sentori verdi che ne hanno caratterizzato la gioventù, mentre l'opera unica di Pacalet (Clos de Bèze 2009 in magnum), rimane un vino magari cortino in bocca ma di una piacevolezza straordinaria.


Mais, oui, je suis blanchiste. Questo si che lascia il segno e all'unanimità si guadagna il titolo di vino del giorno, in mezzo a tutti quei rossi costosissimi ma lontani dalla complessità di un Corton Charlemagne di questa classe, haut de gamme.

Oggi niente pesce. Il gioco dell'oca parte però da una testa in cassetta, un salame di vacca lardellato e da un soprendente salame crudo del più profondo chiavarese. 

Caspita, gran cru 100% pinot noir a Verzenay. Sui 25 euro. Rapporto q/p straordinario 

Il servizio dell'olio di Oliena 

Piccante e stimolante. Buonissima questa salsiccia che il Cannavino serve alla sua maniera, con puntarelle e catalogna. Sapido, dolce, amaro, piccante. Rusticamente piacevole 

L'ormai collaudata compressione di terra. Personale, identificativa con la terra. Tanta roba per un cuoco da mareggiate. Adesso però arriva il piccione di Greppi in tre servizi.

Royale gelatinata con tartare di petto di piccione ... Lopriore, esci subito dal corpo di Davide! 

Bene, se ne è andato. Ottimi i ravioli di piccione (usando le cosce immagino) nel suo fondo.  

 Estremo -nella cottura- il petto sanguinante con cubo di foie gras e radicchio alla piastra. Estremo ma coerente con l'idea di cucina di Davide Cannavino

Questa solo su ordinazione: L'oca ripiena, veramente buona. Farcia invernale ... castagne ecc ...  esterno croccante, interno morbido, farcia avvolgente e salsa ben presente, e servita giustamente anche a parte, in osservanza della famosa legge dei due terzi di salsa sopra ad un terzo di carne.

 Ne resta poca attaccata all'osso
Da qui in poi, causa Amarone Dal Forno 1998 si aprono le sinapsi e si perde il controllo della messa a fuoco. Rimarrà il ricordo del Corton Charlemagne 2008 di Bonneau du Martray e l'intenzione di cambiare il senso di queste giornate, da alternare per modi e luoghi. Grazie a tutti e alla prossima, magari con un galletto dal Giuse e una riga di Rodano, da nord a sud, che ne modifichi il senso e non i lineamenti. 




gdf


sabato 25 febbraio 2017

Sottovoce e senza foto


- del Guardiano del Faro -

Non ho inventato nulla. Era Keith Floyd, ex chef, ristoratore e poi conduttore televisivo BBC itinerante per fatti inerenti l'alta cucina. Neppure il bicchiere di vino bianco è originale, che è la mia maniera di vivere la cucina altrui in modalità live, sempre in bianco. Ce l'aveva -ce l'ho- sempre in mano, strumento più indispensabile di un microfono per tirare avanti la cronaca, anche stasera.

Il vecchio Keith, che immagino ci lasciò proprio a causa di quel gran bel vizio condiviso, aveva già previsto anche questo dettaglio fondamentale per resistere quattro ore in cucina, cercando di sistemarsi nell'unico angolo libero in attesa della prima comanda, in quel mezzo metro quadro dove non darai fastidio, angolo che in realtà non esiste in una cucina professionale, perché dietro, sotto o sopra di te c'è sempre un qualche cosa che servirà ai cuochi impegnati durante l'orario di servizio.

La sua vittima preferita, un certo Marco Pierre White, impegnato nella preparazione di un indimenticabile coda di pescatrice farcita sotto pelle da St. Jacques scozzesi

Il ristorante stasera è al completo. No fotocamera, no telecamera. Si, la camera in realtà ci sarebbe -grazie Flavio-ma non mi va di occupare l'unico tavolo rimasto, che poi in effetti tornerà utile agli ultimi clienti fuori orario. Non mi va di cenare da solo stasera, meglio godermi lo spettacolo di una decina di cuochi e mezza dozzina di persone di sala impegnate a confezionare e consegnare 400 preparazioni da impiattare alla perfezione in tre ore, prima di essere portate sulle eleganti tavole del 21.9

Chef saucier non alza mai nè i toni nè la voce durante tutto il tempo. Qualche occhiata basta, dal pass, dove rifinisce i piatti, da dove rilancia a voce la comanda appena consegnatagli dal maitre, trovando però il tempo di buttare un occhio sulla stufa e, intervenendo di mano -ma in silenzio- se qualcuno dei suoi va in difficoltà.

Non puoi definirti chef se non sai coordinare almeno questo numero di cuochi, impiegati -ognuno- in una funzione, con delega ad aiutare gli altri quando necessario. Se non sai fare questo sei un cuoco e basta.

Al lancio orale della comanda chi deve rispondere si limita ad un pacato ma convinto "si chef" moderato anche di volume, tanto la cappa è piuttosto silenziosa stasera, come lo chef. Ma lo stagista giapponese appena arrivato, impegnato al taglio millimetrico di un filetto di palamita è stato abituato diversamente, e così ci fa sobbalzare tutti quanti con un clamoroso e urlato "YESS CHEF !!!  " Era alle mie spalle, perché non c'è mai un posto tranquillo in cucina. Mi stavo tirando addosso il calice di Chablis.

Ogni tanto, lo capisco dalla cura con la quale lo chef mette sulla stufa un piccolo tegame, si sta pensando anche a chi osserva, bevendo bene, tanto, troppo e, mangiando poco. Nel corso della serata, senza accorgermene, avrò comunque provato in dosi omeopatiche almeno metà della carta. Percorso netto, senza inciampi, anche mangiando in piedi.

Mi rimarrà incollato al palato fino al mattino il sapore di una pasta ripiena che si chiama : cacio, pepe e pomodoro, persino dispiaciuto -avendo rinunciato alla Nikon- di non essere stato seguito per l'intera serata da una piccola telecamera che immortali un servizio perfetto, ma anche per quello, stay tuned.






venerdì 24 febbraio 2017

Il venerdì del DJ : Corbon Champagne Anthracite Brut s.a.



Ha sostituito, da qualche tempo, la cuvée prestige, ma solo nel nome. Infatti, inalterate sono le percentuali dell’assemblaggio: metà Chardonnay, l’altra metà divisa equamente tra Pinot Noir e Pinot Meunier.

Legno e acciaio, presa di spuma nel 2011, oltre 4 anni sur lattes, niente malò, sboccatura giugno 2015.

Naso di piacevole freschezza, tuttavia solo discreto, quanto ad intensità di aromi: limone, burro, qualche umore floreale e una ossatura minerale che sembra promettere bene, in virtù della bacca bianca proveniente direttamente da Avize.

In bocca le promesse minerali trovano diffusa conferma – è tanta la gessosità - e soccorrono un sorso, il quale non brilla che per poche altre peculiarità, anzi, si perde anche un filo in allungo. Resta l’impianto minerale, il quale, sostanzialmente da solo, non riesce e dare tutto quel respiro che mi attendevo, che auspicavo.

Ritornerò su Anthracite, ancorché, provato a più riprese, durante diverse degustazioni, mi abbia lasciato più di un punto di domanda.

giovedì 23 febbraio 2017

Fossano : Palazzo Righini e Ristorante Antiche Volte


- del Guardiano del Faro -


Prendendo in mano una mappa e unendo i puntini con la punta di una matita come si faceva sulla settimana enigmistica e, quindi collegando idealmente il quadrilatero storto che incornicia un territorio ricco ed evoluto come quello compreso tra Cuneo, Mondovì, Saluzzo e Fossano, mi rendo conto che un tratteggio di offerta paragonabile a Palazzo Righini non c'è o, non c'è più. Ospitalità, il tema è questo.

Il Palazzo Righini non è questo qui sopra -che è il Castello di Fossano- ma quello accessibile dal portale che vediamo qui sotto. Defilato, sotto traccia, profilo basso, contenuti alti.

Entriamo.


Camere impeccabili, spazi comuni raffinati, bar, bistrot, ristorante gastronomico, sale dedicate, centro convegni e, perfino una chiesa non consacrata ci troverete dentro a Palazzo Righini. Tanta storia ma nulla di vecchio o di stantio.

Un tempo, quando facevo il misclenologo part time e non più a tempo pieno, decidevo comunque che quello che sarebbe stato il mio prossimo affitto a breve termine parigino doveva essere si storico ma non anziano, insomma, quello che la Rossa individuava diverso dai sopravvissuti dalle repubbliche precedenti, applicandogli un simbolo molto semplice (M).

Che voleva dire che in quel vecchio Palazzo potevi vivere la storia approfittando però della tecnologia e della modernità, della pulizia e della conformità con il tempo. Si chiamano recuperi, ristrutturazioni, ammodernamenti; nel rispetto delle strutture esistenti.


Tortora. E' il colore dominante. Pulito, fine, armonico, mai disturbante.
Mi sento a casa, come al faro.
Queste sono le due che mi fanno compagnia alla terrazza del faro, tra un giro di luce e il prossimo.
Ton sur ton, le ritrovo al mio ritorno, le impallino con la Nikon. Mi guardano perfino di traverso dal tempo che manco.


Tutto scorre via in Sweet Harmony, in un'altra 24 ore da grande albergo, ma questa non da Georges Peppard. Qui è tutto più intimo, più vicino, inevitabilmente più provinciale perché confidenziale, anche se gli stranieri non mancano, e si riconoscono subito.

Tutti gli altri si conoscono. Tutti conoscono tutti. Al bar il dialogo va per nomi o per soprannomi. I cognomi sono superflui. Il nome della Banca non serve per intendersi. E' solo la C.R. che per fortuna porta ancora soccorsi e non sofferenze in grembo. C.R. Fossano potrebbe essere una buona idea, in una piccola area sostenuta da nomi/marchi non secondari : Maina, Balocco, Michelin, Agnesi.


Le tortore spalmate alla pareti guidano la visita, partendo e tornando spesso da e verso Il Loggiato, dove troverò un vecchio amico, uno che mi ha conosciuto in un momento diversamente interessante e, che ha conosciuto la vera Sophie, quella piccola mina vagante del mio libro sui vini francesi e che qui ho rischiato di incrociare pericolosamente, di nuovo, 10 anni dopo. Cuneo sembra piccola, figuratevi Fossano.


Si, ma: dove si va a bere e mangiare qualche cosa?





In Chiesa non oserei. Ricordo, fa parte dell'albergo

L'aperitivo a Il Loggiato

Danilo, qui da otto anni, dopo Cuneo. La continuità ritrovata.

Cuneo e dintorni hanno due marchi di riferimento per lo Champagne : Ruinart e Gosset.
Stavolta mi tocca Gosset, per adesso.


Cominciamo a parlare di cucina. Flavio Ghigo, imprenditore, cuoco, chef ... padre e marito, ha negli anni sviluppato questo progetto che si chiama Palazzo Righini, bistrot Il Loggiato e -aspetto più noto ai gourmet- il ristorante gastronomico Antiche Volte.

Umile e intelligente, Flavio ha deciso, con i tempi ed i modi propri a noi piemontesi, di delegare ad una persona di fiducia una parte della sua responsabilità. Ne servisse un altro.

Dicevo, Flavio, non per caso, è sceso a mangiare Alcune Volte alla Locanda dell'Asino ed ha avuto l'illuminazione. Anche il Faro di Capo Mele ne manda di lampi. Due belli secchi e decisi in due anni. Prima Giorgio Servetto e poi Daniele Lunghi, lanciati in orbita.

E' proprio Daniele Lunghi ( Caffè Groppi a Trecate, Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano, Locanda Canevari a Volpedo, Locanda del Lupo a Soragna, Locanda dell'Asino ad Alassio), che dopo tre locande ha preso in mano le cucine del miglior albergo di questa zona alternativa alla -comunque- inevitabile Langa

Bistrot, bar, ristorante gastronomico. Tutto parte comunque dal cuore della cucina, dove sono in parecchi quelli che dovranno seguire le pacate indicazioni di Daniele.

Due cose da Il Loggiato e poi scendiamo alle Antiche Volte.

Gran Culaccia di Bettella, torta fritta e giardiniera maison

Conchiglione farcito di baccalà, concentrato di pomodoro

Ben ri-trovato Daniele, scendiamo alle Antiche Volte.
Invecchiando è inevitabile ritrovare luoghi o persone.
Daniele, non Sophie, ma quel tavolo mi ricorda proprio un altro bel pezzo da '90, anche se sera un '09.


Una delle prime recensioni congiunte scritte e documentate con Alberto Cauzzi : Passione Gourmet

Caveau-Cantina da 500 etichette, molto migliorata. 
Perfino eccessiva con il mio pensiero di oggi, paragonandola a quella da 1400 dell Antiche Contrade


Daniele si presenta così.
I piatti li conosco quasi tutti. Ad Alassio alcuni potevano spaesare, qui no.


I must della casa non vanno mai allontanati dagli occhi e dal cuore


La carta, allargabile con un click o dilatando indice e pollice


Flavio Ghigo, ama lo Champagne, e lo dimostra con questa selezione. 
Il capitolo potrebbe avere anche una seconda pagina

Dove c'è Moon Import all'ingresso si beve sempre bene all'interno. Un albergo così non può lesinare.
E' un 2004. Dinamico ed in evoluzione.

La battuta di fassona, inevitabile, da Fossano ad Alba, come indicato in carta.
Qui si dice da sempre: carne cruda e pesce cotto

Sopra e sotto la terra.

Lo spaghetto al verde con animelle e cavolo nero

Il mitico : il risotto al fondo bruno.
Quel giorno il Cauzzi mi disse sorridendo senza ancora avere i baffi : non ti ho mai visto finire un piatto di risotto. Era questo.

Il tegame di pollo de La Bresse in salsa BBQ, insalate amare

Due parti di salsa e una di carne. Non è Escoffier. 
Si, è Escoffier ma è anche Daniele che ha capito il concetto.
La selvaggina è (buonissima e cotta al meglio), ma sono gli elementi vegetali e la salsa ... la salsa ... quella che fa saltare il banco, come nel risotto.



Sui dessert siamo già ben messi Daniele.

Per il resto, differenziare bene bistrot e ristorante sarà importante, così che non si creino equivoci o cannibalismi interni. Non bastasse, per non annoiarsi, è arrivato qui vicino un "competitor" non di poco conto -anzi- che si chiama Balocco, che non è un giocattolo.

Per il momento -ci sono andato- non va oltre al look milanese e a proposte abbastanza ordinarie, modaiole come la grafica, però è da tenere d'occhio.



Dall'accento francese a quello inglese




La colazione al Palazzo, nella Sala delle Feste

Tanto oggi salto il pranzo


Beh, intanto accendiamole le stelle, perché A Volte i sogni ...

gdf